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Gli sci col serbatoio ultima frontiera per i tecno-sportivi

Il prototipo di sci che si lubrificano da soli può essere rivoluzionario. Dalle piste di atletica ai palloni, dai costumi ai super computer, ecco come il progresso tecnologico ha cambiato discipline e atleti

È vero, scarpe coi tacchetti e microscopi non si sposano come formaggio e pere per il contadino. Però convivono. Sport e tecnologia si sono annusati e sfiorati a lungo e alla fine si sono uniti. Poche le discipline che rifiutano l’aiuto, molti gli scienziati alla ricerca di trucchetti che migliorino le prestazioni.
Sudore, sacrificio e talento a volte non bastano. La modernità corre e lo sport tiene il passo. L’ultima trovata è stata annunciata all’Università inglese di Sheffield: un prototipo di sci a sciolinatura continua dotati di un serbatoio in grado di rilasciare un fluido lubrificante. La velocità aumenterebbe del 32% e sarebbe sufficiente indossarli per ammazzare la concorrenza. Tuttavia, i dubbi sono notevoli. Adriano Castiglioni, esperto in materiali e docente della scuola di formazione Ski Man, è scettico: «È un’idea vecchia: oggi gli sci devono essere pulitissimi, non lubrificati. Inoltre è impossibile rendere il flusso costante e distribuirlo su tutta la soletta». La rivoluzione nello sci, dunque, sembra essere rinviata. Non così in altre discipline.
La tecnologia, infatti, a volte snatura la pratica sportiva. Il calcio di oggi non è più lo stesso di Crujiff, Best e Pelé. Agli ultimi mondiali, sul banco degli imputati c’erano i palloni: non più leggeri - come si pensa - ma tanto aerodinamici da assumere traiettorie imprevedibili per i portieri. Alla palla avvelenata si sommano le polemiche sull’erba sintetica, che sarà pure più verde come quella del vicino e che renderebbe uniformi i campi dalla piovosa Manchester alla calda Sicilia, ma che modificherebbe la postura dei giocatori. Senza contare maglie traspiranti e aderenti che si deformano al primo contatto, allungandosi come strascichi di spose.
Questione di materiali, non certo di moda, anche per i colossi del rugby, che ora vestono maglie aderenti ricoperte di inserti in gomma per consentire una presa più sicura dell’ovale e per evitare placcaggi. Fisici più attraenti ma scarso interesse per l’haute-couture anche nel nuoto, in cui tutine nere alla Diabolik hanno sostituito gli slip: si chiamano costumi Fastskin, aumentano la velocità in acqua del 4% riducendo l’attrito e sono stati ideati «copiando» la pelle degli squali. I nuotatori che li indossarono per la prima volta alle Olimpiadi di Sydney del 2000 vinsero l’80% delle medaglie, stabilendo 13 dei 15 record fatti segnare ai Giochi australiani.
La ricerca di nuovi materiali la fa da padrona anche nell’atletica. Con l’avvento della fibra di vetro e del carbonio, ad esempio, l’asta si piega molto di più, catapultando i saltatori sempre più in alto. Stesso gioco di elasticità anche nel materiale che riveste le piste di atletica, campo in cui è leader assoluto una ditta piemontese, la Mondo. A sostituire il tartan - composto di asfalto, sughero e gomma - ormai sorpassato, granuli colati in resine poliuretaniche, su cui il piede rimbalza.
Capitolo a parte meritano gli ausilii per gli arbitri. In attesa degli auricolari per le giacche nere nel calcio, i giudici di linea di tennis e cricket hanno preso in prestito dai servizi segreti inglesi la tecnologia Hawk Eye («occhio di falco»), che riesce a prevedere la traiettoria della palla. Discorso simile per la scherma, che da Lipsia 2005 ha adottato la moviola per dirimere i casi in cui il sistema elettronico non riesce ad assegnare la stoccata.
E se nel karate Roberto Piga e Giovanni Betti hanno messo a punto un sistema di controllo medico per dare una mappatura perfetta della muscolatura del karateka (Dyna Biopsy Control), così da approntare un allenamento basato sui personali tempi di reazione, altrove la tecnologia può essere usata per fini meno nobili: è accaduto in India, dove il campione nazionale di scacchi Umakant Sharma è stato pizzicato con un auricolare bluetooth nascosto sotto il turbante. Con quello, i complici gli comunicavano le mosse suggerite da un super computer, come quel Deep Blue che batté Kasparov.
Storie diverse, in cui l’evoluzione abbraccia la tradizione. Perché un giocatore lo si giudicherà pure dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia, ma la radice quadrata di una vittoria continua ad essere meglio di una sconfitta elevata all’ennesima potenza. A costo di togliersi gli scarpini e di infilarsi un camice.

Da laboratorio, si intende.

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