Una scommessa chiamata televisione

Nel 2004, grazie a un curriculum, è stato contattato dalla «H» di Daniela Cattaneo e Luca Moroni

Una scommessa chiamata televisione

La chiamano «generazione globale»: sono i giovani di tutto il mondo sempre più abituati alla mobilità e a saltare da un Paese all’altro. L’obiettivo è di trovare lavoro, fare nuove esperienze o studiare. Molti, come Chong Fook Heng, hanno scelto Milano, città che attira soprattutto per la moda, la pubblicità e il design. Cinese, 34 anni, buddhista semi-praticante, Heng è nato a Seremban in Malesia in una famiglia come tante: madre casalinga di Singapore, padre meccanico scappato dalla Cina di Mao (nel frattempo entrambi i genitori sono morti), due fratelli, due sorelle e lui il più piccolo. Dopo una laurea in Scienze della comunicazione, ha lavorato in una casa di produzione televisiva per sette anni: un’esperienza utile ma anche la monotonia di un lavoro sempre uguale. Così un bel giorno decise di programmare un viaggio in Europa di quattro settimane: in Austria, Italia, Francia e Germania.
Ma l’Italia, seconda tappa, gli piacque così tanto da fermarsi per il resto della vacanza. In barba a tedeschi e francesi. In seguito, grazie a una borsa di studio, riuscì a tornare, questa volta a Siena, per imparare la nostra lingua. L’azienda gli aveva concesso sei mesi di aspettativa, giusto il tempo per capire che era giunto il momento di licenziarsi e cambiare vita. Era il 2004. Nel frattempo aveva imparato un po’ d’italiano. Si mise a spedire curricula ai migliori produttori individuati su Internet e la risposta non si fece attendere (Miracoli della rete!). Lo chiamò la «H» di Daniela Cattaneo e Luca Maroni, prestigiosa casa di produzione di film, spot e documentari a Milano. Oggi Heng è un prezioso collaboratore part-time che si occupa un po’ di tutto grazie anche alle quattro lingue parlate (cinese, malese, inglese e italiano, quest'ultimo sempre più fluently): «Tengo i contatti con l’Asia e seguo le varie fasi di produzione di un film - spiega -. Ma se c’è bisogno non mi tiro indietro, così come fanno gli altri»". I suoi amici sono per lo più italiani: «I malesi sono rari in Italia - afferma - è difficile incontrarne».
In effetti a Roma sono circa 130 e altrettanti sparsi sul territorio nazionale, di cui 37 al Nord. In genere sono cuochi, donne sposate a degli italiani, sacerdoti, preti, qualche studente. A Heng la Malesia non manca. Milano gli piace, ma non per tutto: «Troppe lungaggini con il permesso di lavoro che rendono la permanenza frustrante - si anima -. Non capiscono che così penalizzano anche le aziende». Per il resto, a parte il traffico, i parcheggi impossibili, una politica incomprensibile («Ma quanti partiti avete?») e i padroni dei cani («Marciapiedi scandalosamente sporchi!»), Heng, futuro produttore di documentari perché in questo si vorrebbe specializzare, non esclude di fermarsi: «Qui ci sono molte possibilità anche per gli stranieri - sostiene -. E poi ci sono cultura, fashion, design, gente cordiale e buon cibo». Un ultima domanda: anche la Malesia come la Cina sta vivendo un boom economico? «La Malesia è indipendente dal 1957 - racconta -. Già allora era iniziato il processo di democratizzazione.

È un Paese aperto al libero mercato e agli scambi economici. Non rappresenta un pericolo. Al massimo è un ottimo esempio d’integrazione tra etnie: malesi, cinesi e indiani - occidentali inclusi - da sempre vivono in perfetta armonia».

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