Il messaggio che Osama Bin Laden ha mandato agli Stati Uniti «Tregua o vi colpiremo» è occasione per tracciare un bilancio della guerra al terrorismo che da quasi un quinquennio impegna l'Occidente, in particolare gli Stati Uniti. È proprio l'offerta di tregua, la carota alternata al bastone, che segnala il sostanziale indebolimento della principale centrale terroristica che ha guidato l'offensiva internazionale contro le nostre città e il nostro sistema di vita.
In questi anni la politica di Al Qaida ha avuto due obiettivi: dividere l'Occidente per renderlo più debole di fronte all'offensiva terroristica, e conquistare la leadership del fondamentalismo per estendere la propria egemonia sul mondo islamico dal Marocco all'Irak, dall'Egitto al Pakistan fino all'Indonesia. Entrambi questi obiettivi sono però falliti relegando oggi il terrorismo internazionale, almeno quello facente capo al leader saudita, in una situazione di marginalità e di difesa.
È ben noto il modo in cui gli Stati Uniti, con Bush, hanno reagito all'11 settembre dichiarando la guerra al terrorismo che nel complesso segna notevoli punti nonostante gli errori commessi in Irak dopo la defenestrazione di Saddam Hussein. Nello stesso travagliato territorio iracheno non si può ignorare che si sono tenute per tre volte le elezioni, come del resto in Afghanistan, con l'effetto di offrire all'intero Medio Oriente un esempio di società e di Stato alternativi al terrorismo, al jihadismo e alle dittature così usuali in quelle regioni.
Anche nell'Unione Europea, che era stata segnata dal rifiuto franco-tedesco di sostenere la strategia americana, si è verificata una progressiva conversione alla priorità antiterroristica con l'adeguamento delle strutture di sicurezza comunitarie alle necessità del momento. Non è un caso che, dopo Madrid e Londra, non vi siano più stati attentati e stragi sul territorio europeo, come su quello americano, e che sia divenuta più incisiva l'azione delle polizie e dell'intelligence contro le reti e le basi terroristiche islamiste in Europa, con particolare efficacia anche in Italia.
Tutto ciò rappresenta una sconfitta per Bin Laden che a più riprese, con messaggi verbali o violenti, ha tentato dapprima di incidere sulle opinioni pubbliche europee per metterle in contrasto con i governi che hanno appoggiato le campagne d'Afghanistan e d'Irak, poi di separare l'Europa dall'America, e infine di insinuarsi perfino nel dibattito interno agli Stati Uniti per indebolire Bush e costringere il bastione americano ad abbandonare i presidi nel Medio Oriente.
Ma il fondamentalismo terrorista a direzione internazionale segna battute di arresto anche sul terreno islamico. In Irak i sunniti di matrice baathista sono rientrati nel gioco elettorale del nuovo Stato, separando in parte le proprie prospettive da quelle dei luogotenenti di Al Qaida. La Siria è sotto scacco e non può più fungere da rifugio per le reti internazionali terroristiche. Tra i palestinesi, lo stesso Hamas sviluppa una sua politica di confronto diretto con Israele che lo distingue dalla centrale internazionale.
Più in generale la modernizzazione, e in particolare l'evoluzione della donna, sta prendendo piede in Medio Oriente costituendo di per sé un potente argine al fondamentalismo. Solo in Iran il regime di Ahmadinejad sembra avere un segno opposto, ma per l'Occidente è forse meglio affrontare uno Stato apertamente integralista che non un'entità clandestina, onnipresente e nichilista come Al Qaida.
Così tra difficoltà, incertezze ed errori, quella guerra al terrorismo, con cui gli Stati Uniti dopo l'11 settembre non accettarono di essere messi in un angolo, può essere considerata un successo per tutto l'Occidente, sia per quella parte che ha avuto un atteggiamento reticente, sia per l'altra che è stata solidale con lo sforzo antiterroristico. E di questo gli italiani possono andare orgogliosi.
m.teodori@agora.it
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