Gli scrittori superstar? Costruiti con lo stampino

Altro che belle trame e passa parola dei lettori: si sfonda adulando i critici e obbedendo (di nascosto) al marketing. Negli Usa ci pensa un pc a scrivere (bene?) romanzi di successo

Tutti negano. Non si crea uno scrittore dal nulla. Non si può costruire un bestseller a tavolino. Il successo è un’eccezione, «frutto di un’alchimia ignota tra il lettore e il libro». Tutti scrollano il capo, in prima battuta. Ma appena si scava un poco di più, gli appartenenti a quel che resta della società letteraria lasciano trapelare il Grande Segreto: il sistema c’è. Diventare scrittori di successo, in maniera indipendente dalla qualità di ciò che si scrive, è possibile. Vediamo come ci si è arrivati in tre possibili passaggi, distanti un ventennio l’uno dall’altro.

Potrebbe essere il 1965, libreria Milano Libri. Si presenta una guida della città, relatori Camilla Cederna e Alberto Arbasino. Terminata l’incombenza, «Nino» sale sulla sua Triumph Spider verde bottiglia e s’allontana, in direzione Vienna. Lo Scrittore era anche questo: un’icona dello Stile, l’«air du temps» riassunta in uno slancio cosmopolita, l’audacia intellettuale incarnata nella scelta di un oggetto immortale come la giusta auto sportiva.

Vent’anni dopo, più o meno. New York, un party editoriale per uno scrittore arrogante. Il libro non l’ha letto nessuno, ma lo hanno sfogliato tutti: «Come fanno sempre gli intellettuali di New York, che, prima di guardare la pagina di apertura di un romanzo, esaminano la fotografia dell’autore, la quarta di copertina per vedere chi altro abbia scritto la presentazione, guardano la dedica, controllano i ringraziamenti». Così David Leavitt nel romanzo autobiografico Martin Bauman descriveva negli anni ’80 i nuovi riti della macchina da soldi dell’editoria, dove il Marketing sconfiggeva lo Stile.

Oggi, in edicola: per descrivere il Collega Antonio Scurati, lo Scrittore Tiziano Scarpa, neovincitore dello «Strega», si sfoga con Vanity Fair. Scurati sarebbe «un vero caso mediatico: la costruzione di un intellettuale e di un autore pop attraverso una strategia propagandistica e pubblicitaria che va avanti da anni». Fatta, secondo Scarpa, con la direzione di una collana Bompiani, una cattedra allo Iulm, la collaborazione con prestigiose testate.
«Si fa confusione tra produzione e creazione delle merci» ci spiega Marco Vigevani, una grande carriera di editor alle spalle, oggi agente letterario, tra gli altri, di Scurati. «L’Italia non è un Paese di scrittori costruiti a tavolino, ma di provinciali - nel senso migliore della parola - isolati. La società letteraria in Italia è esistita solo a cavallo degli anni ’50 e ’60, poi solo alcune figure di mediazione, come Grazia Cherchi o Goffredo Fofi. Non vedo salotti che contino e, a parte lo “Strega”, occasioni di rilievo per uno scrittore». Anche Vigevani però ammette le tecniche di seduzione: «Rimane il patronage: scrittori “presentati” da scrittori. Un manoscritto “garantito” da Sandro Veronesi, Alessandro Baricco o dallo stesso Scurati oggi vale grande credito presso qualsiasi agente o editor».

Negli Stati Uniti la scrittura è diventata un mestiere come un altro, che dunque necessita di agevolazioni digitali. Il Marshall Plan Writing Novel Software, ad esempio, per poco più di cento dollari permette di sfornare in pochi giorni un bestseller: basta inserire protagonista, antagonista, genere, un breve soggetto, e il PC elabora, proprio come nel racconto Lo scrittore automatico di Roald Dahl, appena ripubblicato da Guanda: «In effetti alcuni bestseller fanno pensare di essere stati scritti da un software» commenta Filippo La Porta, critico letterario e scrittore. «Avrei dei dubbi perfino sul Nome della rosa, perfetto romanzo-videogame. Per chi crede nella letteratura come conoscenza e rivelazione è dura ammettere che un software potrebbe ingannare. Ma è possibile».

La teoria di How I became a famous novelist di Steven Hely, uno degli autori del David Letterman Show, appena uscito negli Usa, è che il bestseller si costruisce, come il Lego. Romanzo del mese di Amazon in luglio, si prende gioco dell’intero establishment letterario americano, svelando come diventare scrittore di successo sia sin troppo facile. Esistono formule per ogni genere letterario, da apprendere e applicare. Titolo da parafrasarsi tra quelli in classifica del NYT: «Cumino. La spezia che ha cambiato il mondo», «Il Club degli Investigatori di Jane Austen», «I Saggi Cavalieri della Tromba Oscura». Trama semplice, tipo «Un poliziotto di New York scopre che alcuni ebrei hassidici hanno ritrovato l’11º comandamento che si credeva perduto. E il destino del mondo cambia per sempre». Claim pubblicitario forte, come «Il colore del sangue è il nuovo rosa».
«Se esistesse una formula per il romanzo di successo non si capisce perché gli editori pubblicherebbero invece romanzi che per la gran parte non vendono una copia», ribatte Gaetano Cappelli, che con La vedova, il santo e il segreto del pacchero estremo (Marsilio) era tra i finalisti dell’ultimo «Strega». «I lettori amano un libro a prescindere da ogni costosissima campagna pubblicitaria o dalle solite marchette sui giornali». Ma scava scava anche lui estrae le regole auree: «Una ben congegnata strategia editoriale sostenuta da frequentazioni adeguate può far in modo che il proprio lavoro non passi inosservato anche se lo meriterebbe» prosegue. «Così che c’è di meglio che partecipare a una delle mille cene con donne separate da uomini potenti, bellezze che li frequentano, critici d’arte e artisti, ammanicatissimi dandy che conoscono a loro volta produttori cinematografici, conduttori televisivi, editor, direttori di giornale? Da quel momento in poi fioccano gli inviti in tivù. E lo scrittore che ambisce al successo non rifiuta niente, neanche di vegliare la salma di Costanzo». Fatto il culto, trovati i sacerdoti, di cui lo scrittore fa nomi e cognomi: «Appare dal niente l’esordiente di successo, la promessa che mancava. La scrittura in questi casi è un accessorio insignificante. Anzi può essere solo d’impaccio, come nel caso di Scurati, che è tanto incisivo in tivù quanto imbarazzante nei romanzi. Ma l’immagine può fagocitare anche il talento autentico, come nel caso di Busi. Quanto ad Arbasino, il culto di se stesso ne ha fatto poco più che un cicisbeo. Ripete da 40 anni lo stesso articolo».
«Può capitare il “mirabile caso” che muove l’elefantiaca macchina di un grande editore» passa al sodo Camilla Baresani, scrittrice e critica gastronomico. «Sono in cerca del bestseller dell’anno e il supercapo dei capi crede in te, come è stato per Piperno e Giordano. In mancanza di ciò, l’unica arma vincente possibile è la tetragona volontà, la furia militaresca di occupazione». Baresani ha messo a punto il suo Occidente dei principianti, ovvero come “accreditarsi” se non si è capaci di creare bestseller come Vitali ma si coltivino «pretese letterarie»: «Fare pastetta. Frequentare la redazione di Nuovi Argomenti. Proporsi ogni due minuti come maître-à-penser di qualsiasi str... con un’idea polemica che però non ferisca quelli che ti fanno comodo. Lagnarsi d’incarnare la figura dell’intellettuale isolato dal sistema. Presenziare e soprattutto organizzare convegni in cui invitare scrittori e critici». Insomma, una faticaccia.

«Se i nostri ormai-non-più-giovani autori raccontassero la storia della propria ascesa, ne verrebbero fuori delle testimonianze piccanti» chiude il critico e saggista Giuseppe Scaraffia. «L’egemonia della sinistra che ha devastato la cultura italiana è finita ma non è ancora stata sostituita da nulla. Spuntano cauti tentativi di abiura, come i complimenti di Baricco a Berlusconi». E l’esteta ci regala i nuovi canoni dello Scrittore: «Deve sembrare essersi appena alzato dal letto dopo avere dormito vestito.

I colori scuri restano una garanzia di artisticità, come il linguaggio approssimativo, infarcito di citazioni dialettali. Nessuno giura più sui romanzi di Veltroni o sui film di Moretti. Come dicevano Fruttero e Lucentini, il cretino sta annusando l’aria per capire dove va il vento».

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