"La scuola è in mano all'Anticristo"

Enrico Demme. D’Alema era suo compagno di liceo. Redattore dell'Unità, il Pci voleva farlo lavorare in nero: rifiutò e disse addio al giornalismo. Anche come docente ha passato i suoi guai. Colpa di Darwin...

"La scuola è in mano all'Anticristo"

Quaranta gradini di ardesia, la roccia nera di cui sono fatte le lavagne, conducono nell’abitazione del maestro elementare Enrico Demme. Salita Oregina a Genova, un’erta acciottolata dove le auto non passano. L’alloggio, dignitosissimo nella sua modestia, ha più dell’aula che della casa: Miriam, 10 anni, Maria Pia, 8, Benedetta, 5, Samuele, 4 mesi, lo riempiono del loro vociare. «Siamo ufficialmente famiglia numerosa, ce l’hanno scritto anche sulle carte», informa allegro il capotribù, sposato dal 1996 con Cristina, mite impiegata di banca armata solo di sorriso e pazienza.

Averne di maestri così, a meno di 1.400 euro al mese. Peccato che questo docente di scuola primaria - ma lui preferisce la vecchia dizione - si sia messo in testa un’idea davvero balzana, di questi tempi: crede che i suoi figli, e i suoi alunni, e i suoi simili, insomma gli uomini in generale, siano fatti a immagine e somiglianza di Dio, anziché delle scimmie. Cioè siano frutto della creazione, non dell’evoluzione. E, quel che è peggio, s’è pure messo a insegnarlo a scuola. Non l’ha spacciata come verità di fede. Ha solo esposto una teoria: la vita come esito di un Progetto intelligente anziché del Caso.

È andata come doveva andare: s’è rovinato la sua, di vita. Proteste delle famiglie. Ispezione ministeriale. Ipertensione arteriosa con punte fino a 160 di minima e 220 di massima. Sette mesi di malattia. Due visite fiscali domiciliari la settimana. Trasferimento per incompatibilità ambientale dalla scuola Giuseppe Garibaldi alla scuola Mario Mazza. Adesso Demme ha condensato la sua lunare esperienza in un dattiloscritto di 103 pagine che aspetta solo un editore. S’intitola A scuola dall’Anticristo. Cronache dell’orrore nella scuola elementare di Stato. «Se non fosse stato per un’interpellanza al ministro dell’Istruzione presentata da un deputato che nemmeno conosco, l’onorevole Stefano Losurdo, mi sa che avrei dovuto cercarmi un altro modo per mantenere la mia famiglia». Sarebbe stata una doppia tragedia, perché questo maestro, laureato in lettere e già docente nei licei, è arrivato nella scuola elementare per passione, non per caso, a 40 anni. Oggi ne ha 55.In precedenza Demme aveva fatto il giornalista professionista. Era redattore dell’Unità. «Ho rischiato di ritrovarmi come direttore Massimo D’Alema, che era stato mio compagno di studi all’ Andrea D’Oria, il liceo classico della buona borghesia. Mi è andata bene: ci entrai sei anni prima, quando alla direzione c’era Emanuele Macaluso. Una parte dello stipendio bisognava versarla al Pci».

Pochi giorni dopo averlo assunto, lo misero in cassa integrazione insieme con altri colleghi. «Ma questo sarebbe stato il meno. È che avrebbero preteso di farci lavorare ugualmente di nascosto, in nero. Risposi che me ne sarei andato a pescare in Spagna. E così feci: a Burguete, vicino a Pamplona, un posto hemingwayano. Al ritorno, non riuscii più a trovare lavoro a Genova. Porte sbarrate. Alla fine dovetti restituire la tessera dell’Ordine dei giornalisti».

Nello stesso periodo Demme si avvicinò alla fede. «Quando stavo all’Unità, più che ateo o anticattolico diciamo che ero agnostico. Giovanni Paolo II si salvò dai proiettili sparati da Ali Agca nel giorno dedicato alla Madonna di Fatima. Andai a leggermi la storia di questi tre pastorelli portoghesi: capii che avevano previsto con anni di anticipo tutti i grandi avvenimenti del Novecento, incluso l’attentato al Papa. Dopo qualche mese bussò alla mia porta una venditrice di libri, che riuscì a vendermi un volume su Medjugorje. Ci sono andato in viaggio di nozze. Il primo rosario l’ho recitato con Cristina. Mi sono sentito come la volpe stanata dal bosco, costretta a correre allo scoperto, di cui parla Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia. Ho dovuto dire: va bene, hai vinto, c’è Qualcosa».

L’ha convertita sua moglie?
«Ci siamo conosciuti frequentando lo stesso confessore, padre Eugenio Ferrarotti, superiore della chiesa di San Filippo; è morto una decina d’anni fa. Ho visto un serio funzionario del Psi genovese, non credente e vitaiolo, guarire da una serie di gravi quanto misteriose malattie dopoun esorcismo praticatogli da padre Eugenio».
La fede è all’origine dei suoi guai a scuola?
«Di sicuro non mi ha giovato. Alla ripresa delle lezioni, nel settembre 2006, mi fu tolta la seconda classe, che avrei dovuto accompagnare dalla prima alla quinta. Feci mettere a verbale nel collegio dei docenti che il dirigente scolastico mi aveva motivato la decisione con le lamentele di tre mamme perché avevo insegnato che sull’origine dell’uomo esistono altre teorie oltre a quella evoluzionista. L’ispettore ha scritto che la censura critica nei miei riguardi è di tipo didattico, non ideologico. In pratica ha riaffermato implicitamente che l’evoluzionismo è dottrina di Stato. Il tutto, giova precisarlo, è arrivato dopo otto anni di screzi».
Che genere di screzi?
«Ho contestato il materiale didattico di un gruppo di maestre femministe che decantava la “conquista dell’aborto” e accusava la Chiesa di aver sfruttato la prostituzione. Ho impedito che venissero distribuiti in orario di servizio i volantini della Cgil. Quando, prima della riforma Moratti, lo studio della storia arrivava fino ai giorni nostri, ho parlato in classe del comunismo».
Ahi!
«Certo in maniera più imparziale rispetto a quanto riportato nel testo per le quinte Voglia di conoscere, pagina 293: “Nel 1924 morì Lenin; gli successe Stalin, che instaurò una spietata dittatura. L’opposizione interna venne stroncata e qualsiasi forma di democrazia eliminata”. Si fa intendere ai bambini che con Lenin non c’era la dittatura, bensì la democrazia. Inoltre al tempo della guerra in Irak non ho esposto alla finestra la bandiera della pace, come hanno fatto gli altri colleghi».
Da impiccagione.
«Un po’ come ribellarsi all’ecologismo, mettere in discussione il Protocollo di Kyoto, dire che l’acqua è un bene riciclabile dal momento che evapora e si trasforma da nuvole in pioggia. O negare l’effetto serra, come ha fatto Michael Crichton, il bestsellerista di Jurassic Park, Coma profondo e E.R. Medici in prima linea. Tutte eresie, nella scuola di oggi».
Chi verifica che i libri adottati dai maestri siano veritieri e imparziali?
«Nessuno. Ho dovuto scrivermene uno per esasperazione. Un libro di storia, Prima e dopo, nel senso di prima e dopo il Cristianesimo. L’ho mandato a una casa editrice molto sensibile al tema. Mi ha risposto informalmente che il testo è valido ma non vuole impegolarsi nel ginepraio della scuola elementare».
Che cosa c’è di sbagliato nella teoria dell’evoluzione della specie?
«Il padre della teoria, innanzitutto. Charles Darwin, un naturalista convinto che a forza di pensare si espandessero le ossa del cranio. Di ritorno dalle isole Galápagos la sorella gli disse: “Oh, ti si è allargata la testa”, e lui, anziché riderci su, la prese come una conferma della propria teoria. Discendiamo dall’uomo di Neanderthal? A me risulta che non siamo nemmeno parenti. Lo hanno accertato ricercatori americani della Pennsylvania State University estraendo il codice genetico dalle ossa del primo cavernicolo scoperto 151 anni fa nella valle di Neander, in Germania: sono state riscontrate 27 differenze sostanziali col nostro Dna mitocondriale, quello che si trasmette praticamente invariato da madre a figlio».
Ma scienza e fede non avevano trovato un punto d’intesa? L’evoluzione teistica concilia il Big bang, l’esplosione creata da Dio dalla quale 13,7 miliardi di anni fa avrebbe tratto origine l’universo, con la successiva comparsa delle varie forme di vita, uomo incluso.
«Certo, a patto che resti l’idea della creazione iniziale e sia fatta salva la teoria monogenetica, quella per cui tutti gli uomini discendono dagli stessi progenitori».
La Chiesa cattolica non ha una posizione ufficiale sul darwinismo, lascia l’ultima parola alla scienza.
«Il discorso è più scientifico che teologico. Nessuno è mai riuscito a spiegare il passaggio dal brodo primordiale alla complessità della cellula. Come e perché le cellule si sono unite e organizzate sino a formare organismi superiori? Il salto dall’animale all’uomo risponde a una concezione magica della scienza. Perché non siamo circondati da forme di vita intermedie?».
Il tempo delle ciliegie, libro di storia e geografia per le classi terze, insegna che «per dare una spiegazione alla loro esistenza» gli uomini si sono inventati «esseri superiori» e «accadimenti fantastici». In una parola si sono inventati Dio.
«Guardi che questi testi sono adottati persino nelle primarie che dipendono da istituti religiosi. In una di queste scuole hanno proiettato agli alunni un documentario sui primati che si concludeva così: “Oggi sono scimmie,mafra chissà quanti anni potrebbero diventare come te”. D’altronde Peter Singer, luminare della bioetica che insegna a Princeton, osannato da Time fra i 15 pensatori più importanti del mondo, sostiene che una scimmia vale più di un handicappato. Non a caso è il filosofo che ha invocato per i figli dell’uomo “un periodo di 28 giorni dopo la nascita prima che un infante possa essere accettato con gli stessi diritti degli altri”».
Giovanni Paolo II disse che l’ipotesi evoluzionistica era «più che una teoria».
«Il Papa attuale mi sembra più critico. Joseph Ratzinger era ancora cardinale quando metteva in guardia l’umanità: “Tutto deve ridiventare fisica. La teoria dell’evoluzione si è sempre più venuta delineando come la via per far scomparire finalmente la metafisica, per far apparire superflua l’ipotesi Dio”. Ci lascino almeno lo spazio per l’enunciazione di altre teorie. È un discorso di libertà. No, l’unica libertà accettata è quella che nel testo di religione Passi di pace per le classi quarta e quinta mette San Pio da Pietrelcina e Madre Teresa di Calcutta sullo stesso piano di padre Alex Zanotelli e Gino Strada. Col nullaosta della Cei e l’imprimatur del vescovo di Casale Monferrato».
A scuola dall’Anticristo. Perché ha scelto questo titolo per il suo libro?
«Basta leggere lo studio Il mito della scuola unica di Charles Glenn. Nelle aule trionfa la mentalità massonica ottocentesca che concepiva la scuola di Stato quale strumento per sottrarre alla Chiesa la possibilità di educare le nuove generazioni. La Rivista della Massoneria lo scriveva nel 1879: “L’unico modo per abbattere la superstizione del sacramento della confessione è la scuola. La scuola è il cannone della battaglia morale”, e infatti oggi i miei scolari sono sospinti verso il paganesimo: anziché in Gesù credono nei Gormiti, personaggi di plastica che manifestano la loro divinità attraverso il potere sulla natura. Anche nella Cambogia di Pol Pot la pretesa di rifondare il mondo passava attraverso l’indottrinamento dei bambini, “lavagne bianche” da cui tenere lontana qualsiasi traccia di tradizione per potervi scrivere sopra a piacimento. “Chi controlla il passato, controlla il presente”, profetò George Orwell, quello del Grande Fratello e della Fattoria degli animali. La “lavagna” è quasi bianca anche in Italia».
Dice?
«Dico. E aggiungo, per esperienza personale: chi prova a riempirla di contenuti cristiani si attira grandi sventure. Lei pensi che sono stato convocato in curia dal responsabile diocesano dell’ufficio scuola. Teneva fra le mani la fotocopia di una mia dispensa di storia in cui dimostravo che Cristoforo Colombo era interessato all’evangelizzazione. Mi ha dato dell’integralista. Eppure era il pensiero di Papa Wojtyla. La scuola di Stato si mantiene neutra su tutto e così facendo serve i gruppi di potere. Una situazione ben fotografata in una scritta che don Luigi Giussani notò molti anni orsono sui muri di un liceo milanese: “Questa scuola puzza di niente”. Detta legge il relativismo. Speriamo non diventi veltronismo: ha ragione Tizio “ma anche” Caio».
Come rimediare?
«L’unico principio che deve valere è quello della sussidiarietà: il potere pubblico si limita a svolgere solo le attività che i privati non siano in grado di compiere. Bisogna farla finita con la scuola unica di Stato, restituire ai genitori la libertà di scegliere per i loro figli il tipo d’istruzione che ritengono giusta. I bambini stanno più tempo in aula che gli operai in fabbrica: 40 ore settimanali. Solo a Sparta rimanevano così a lungo lontano da casa».
La scuola è diventata la Grande Balia.
«Ha soppiantato la famiglia. Ho avuto una vivace discussione con una collega per i campioncini di dentifricio distribuiti gratuitamente dalla Mentadent. Una lodevole iniziativa, secondo lei. Io invece sono del parere che insegnare l’igiene orale sia compito dei genitori. Questa idea che tu, famiglia, mi consegni il bimbo innocente e io, scuola, te lo restituisco dopo un po’ d’anni provvisto di tutte le virtù civiche e di tutte le competenze è aberrante. Abbiamo creato una generazione d’orfani di genitori vivi».
La famiglia non sta meglio della scuola.
«No, in effetti. Se io osassi parlare in classe della famiglia marito-moglie-figli, finirei linciato. Le racconterò la storia di Alice, nome di fantasia. Mamma e papà molto belli con quattro figli, il più grande di appena 6 anni. La signora s’invaghisce di uno sconosciuto, che ben presto si presenta a scuola: “Sono l’altro papà di Alice”, dice proprio così, “vi lascio il numero del mio telefonino”. Alice comincia ad avere due case, diventa svogliata, non fa i compiti perché libri e quaderni sono sparsi in due mondi diversi. I quattro fratelli non accettano il nuovo papà. Ma pazienza, arriva un fratellino. La quinta gravidanza segna la mamma: ora è un’ex bella donna. Gli insegnanti la vedono per l’ultima volta a una festa scolastica di fine anno. Qualche giorno dopo la signora è sul terrazzo di fronte al mare col papà del suo nuovo figlio. Porge il neonato al compagno, scavalca il parapetto e si butta giù. Muore prima di arrivare all’ospedale».


Quanti sono i maestri di sua conoscenza ai quali affiderebbe l’educazione dei suoi figli?
«In 15 anni ne ho conosciuti solo due. E ho girato sei circoli didattici. Ogni circolo ha circa 50 maestri. Faccia un po’ lei i conti».
(408. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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