D a qualche giorno mancava un appello nuovo di zecca. Per fortuna ora cè un nuovo documento da sottoscrivere. La richiesta, indirizzata al ministro Gelmini, è questa: includere Le lettere dal carcere di Antonio Gramsci tra le letture nelle ultime classi delle superiori. Perché è un classico come Manzoni e Dante, anzi, chiosa lUnità, «più di Manzoni e Dante». Lidea parte dalla scrittrice (ed ex insegnante) Margherita Pinna, vincitrice del «Premio Gramsci 2009», e ha trovato immediato consenso presso Dario Fo, Franca Rame, Vincenzo Consolo, Rosetta Loy, Paola Capriolo, Silvano Agosti, Renzo Rossellini, Valerio Magrelli, Leo Gullotta e molti altri firmatari.
Scritte nel periodo di detenzione 1926-1937, le Lettere hanno avuto una storia editoriale travagliata, con tanto di polemica furiosa quando nel 1996 cambiarono editore passando da Einaudi (il primo a pubblicarle per volontà di Togliatti) a Sellerio. In ballo cerano i diritti dautore: il figlio di Gramsci, Giuliano, disse più volte di non aver mai visto una lira. A parte questo, allindomani della prima edizione delle Lettere, il filosofo liberale Benedetto Croce disse che lopera di Gramsci «appartiene anche a chi è di altro o opposto partito politico».
Dunque perché non leggere Gramsci a scuola? Leggiamolo pure, ricordando non solo il contrasto fra Gramsci e Togliatti, ma anche le lacune della «curatela» (chiamiamola così, molti storici la definiscono «censura») del Migliore sulle opere gramsciane. Il segretario comunista riteneva, ad esempio, che «alcune parti (dei Quaderni, ndr) se fossero utilizzate nella forma in cui si trovano attualmente, potrebbero non essere utili al Partito».
Ma oltre a leggere Gramsci, leggiamo anche Benedetto Croce. Apriamo i programmi scolastici al pensiero liberale, a quello risorgimentale, a quello cattolico. Non per par condicio.
E comunque, a dire il vero, se con una pistola alla tempia si dovesse scegliere, per motivi di tempo, fra Gramsci e Dante o fra Gramsci e Manzoni, beh, molto meglio Dante e Manzoni.
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