Pare che finalmente la scuola italiana, conosciuta come la più permissiva del globo terracqueo, si sia decisa a dare un giro di vite. Gli ultimi scrutini hanno fatto registrare un aumento delle insufficienze e una pioggia di 5 in condotta, sembra incredibile ma tirare un righello in testa a un professore non è più consentito. Ci informa, con dovizia di dati e particolari, Francesca Angeli a pagina 11.
La scuola dunque ha deciso di fare la sua parte. Bene. Ma ora tocca a noi.
Per «noi» intendo noi genitori della sciagurata generazione cresciuta con lo slogan sessantottino «vietato vietare» e con lincubo del giudizio del dottor Spock: il piccolo andava nutrito non quando aveva fame ma rispettando gli orari di una tabella prestabilita, una sculacciata ci faceva precipitare in angosciosi sensi di colpa, alla prima insubordinazione dovevamo abbozzare senza reagire perché il pargolo stava semplicemente separando il proprio sé dal nostro noi.
Siamo una generazione traumatizzata dalla paura di traumatizzare i figli. Qualunque cambiamento era percepito come un attentato allintegrità psicologica dellerede: la nascita del fratellino, linizio dellasilo, la scoperta dellinesistenza di Babbo Natale.
Naturalmente anche il brutto voto a scuola richiedeva uno psychiatric help di quelli appresi leggendo Charlie Brown. Dimentichi dei ceffoni e dei sequestri di bicicletta subiti nella nostra infanzia ad ogni cinque e mezzo, non appena i nostri figli prendevano un quattro andavamo un po seccati a chiedere spiegazioni al prof: ma come si permette. Una pagella così-così comporta ormai, di routine, il cambio di scuola; una bocciatura un ricorso al Tar.
Ma è nei giorni di pioggia che noi genitori diamo il peggio. Non appena cadono due gocce, il traffico cittadino si blocca improvvisamente per la concentrazione di migliaia di automobili che convergono verso asili, scuole, licei, istituti tecnici per trarre in salvo i nostri figli. I più previdenti partono a metà mattina per trovare posto sul marciapiedi subito accanto al portone, chissà mai che il ragazzo sia costretto a camminare qualche metro sotto lacqua. È in quei giorni che ci si accorge che il drammatico problema strutturale delle nostre scuole non è la mancanza di aule ma la mancanza di parcheggi.
Questa ossessione di non traumatizzare i figli, dicevo, i traumi li ha provocati a noi. Ad esempio al maledetto giorno del quattordicesimo compleanno. Si è cominciato negli anni Settanta, quelli delle grandi rivendicazioni sindacali: compiuti i 14 anni, si apriva la vertenza per il 50 cc. Cominciava una trattativa, la promozione era una conditio sine qua non, intanto incombeva lincubo dellincidente, molti genitori arrivavano ad augurarsi la bocciatura per rinviare lacquisto. Oggi il trauma per noi non è più solo la paura dellincidente, ma anche quella della situazione di emarginazione che il ragazzo potrebbe patire se fosse lunico, nel branco, a non essere motorizzato.
Il nostro lassismo non ha condizionato solo il mondo della scuola, ma quello dellintera società, pure del mondo del lavoro. Licenziare un fannullone o anche un ladro è diventato un attentato alla Costituzione, tenere in galera un rapinatore o uno stupratore è un intollerabile ritorno al Codice Rocco (del resto anche noi giornalisti siamo rimasti condizionati, non appena qualcuno viene ammazzato, mettiamo il microfono sotto il naso dei familiari della vittima e chiediamo: vero che ha perdonato?).
Il buonismo e il perdonismo, ecco i pilastri sui quali abbiamo costruito la nostra società. Così abbiamo allevato una generazione con gli attributi che abbiamo mostrato noi: inconsistenti. Uno dei pochi primati che lItalia detiene attualmente è quello dei bamboccioni: da noi i ragazzi di età compresa fra i diciotto e i trentaquattro anni che stanno ancora in famiglia sono il 59 per cento, nel resto dEuropa il 29.
Ben venga linversione di tendenza nella scuola, dunque. Per una volta, si dimostra più avanti del resto del Paese.
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