La scure di Atene: a casa 15mila statali

Un solo passo in avanti, troppo piccolo per la troika Ue-Bce-Fmi, ma inaccettabile per i dipendenti statali greci. Sono proprio loro che saranno chiamati per primi a pagare il conto delle nuove misure di austerità necessarie per ottenere il nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi di euro. Dopo la fumata nera di domenica, la coalizione di governo che appoggia il primo ministro, Lucas Papademos, ha infatti accettato ieri di tagliare 15mila posti di lavoro nel pubblico impiego.
Il rischio di un default, con il Paese ellenico chiamato a rimborsare a fine marzo titoli per 14,5 miliardi, non è però affatto scongiurato. Difficile credere che la calata di scure su un settore pletorico, composto da 750mila lavoratori (un quinto del totale), possa aver convinto gli 007 contabili che Atene ha finalmente fatto i compiti a casa. Ben altre sono le richieste della troika: oltre a un dimagrimento dell’elefantiaco apparato statale, anche una sforbiciata ai salari minimi (le indiscrezioni parlano di una decurtazione da 750 a 600 euro), la cancellazione delle tredicesime pure nel settore privato e una riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. Misure che hanno già innescato nuove proteste dei sindacati, pronti a riportare in piazza oggi migliaia di manifestanti nell’ennesima giornata di sciopero che paralizzerà il Paese.
Il ministro dell’Amministrazione, Dimitris Reppas, ha spiegato che i tagli saranno effettuati secondo la nuova legge che li consente. «Siamo contrari - ha aggiunto - ai licenziamenti indiscriminati. La riduzione della forza lavoro è strettamente legata alla ristrutturazione dei servizi e dell’organizzazione dei ministeri». Dettagli sul nuovo piano, tuttavia, non sono stati forniti. E visti i precedenti, l’annuncio non è del tutto rassicurante. Già nel dicembre dello scorso anno si era rivelato un fallimento il piano per ridurre di 30mila unità la macchina dello Stato. Solo in 4mila avevano abbandonato il posto in modo indolore potendo beneficiare dei prepensionamenti, mentre nulla si è più saputo dei 20mila lavoratori destinati a entrare nella cosiddetta «riserva di manodopera» (una sorta di parcheggio temporaneo che prevedeva una riduzione dello stipendio del 60%).
Mentre Atene sta anche trattando con i creditori privati la riduzione sui pagamenti effettivi dei suoi titoli di Stato, occorrerà aspettare la giornata di oggi per sapere se i leader dei tre partiti principali avranno accettato tutte le condizioni imposte dall’Europa e dal Fondo monetario. In mancanza di un’intesa, Papademos potrebbe dimettersi e per la Grecia si spalancherebbe non solo l’incognita delle elezioni anticipate, ma soprattutto il baratro della bancarotta. «Ci rifiutiamo di riconoscere un default della Grecia, non possiamo accettarlo», ha detto la cancelliera tedesca, Angela Merkel, inflessibile comunque sulla necessità di trovare un accordo con la troika. In caso contrario, «non ci può essere un nuovo programma di aiuti per Atene». Assieme a Nicolas Sarkozy, la Merkel ha proposto di bloccare su un conto speciale una parte dei fondi provenienti dai prestiti Ue-Fmi per essere sicuri che servano al rimborso del debito pubblico. Germania e Francia sono i Paesi più esposti nei confronti della Grecia: 37 miliardi di sirtaki-bond sono in pancia alle banche tedesche, ben 57 quelli posseduti dagli istituti francesi contro gli appena quattro delle banche italiane.

Per i due Paesi è dunque fondamentale evitare che Atene arrivi al capolinea, pena un pesantissimo salvataggio dei rispettivi sistemi creditizi, con ripercussioni immediate sull’economia in generale.
L’attesa per la Grecia ha intanto gelato il rally delle Borse (-0,3% Milano). Stabile, a quota 373, lo spread Btp-Bund.

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