Se adesso il ciclismo ridisegna la politica Ue

Dopo la Vuelta nei Paesi baschi, ora è il Tour a sbarcare in Corsica. E il Giro della Padania? Va contromano

Se adesso il ciclismo  ridisegna la politica Ue

Due ruote tenute insieme da un po' di tubi, ultimamente leggerissimi, per sconfiggere l'incubo del terrorismo e superare i separatismi, gli indipendentismi e tutti gli «ismi» che hanno tenuto separati i cuori e scavato barriere, in Europa, per lunghi e sanguinosi decenni. Due ruote, e le passioni che si portano appresso, per superare di slancio - anzi, in volata - la malattia che dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto, si è innestata sul ceppo virale del nazionalismo, che di tutti gli «ismi» è il capostipite.

Come leggere altrimenti la notizia che il Tour de France edizione 2013, l'edizione del centenario, partirà nientedipopomeno che dalla Corsica, dove la corsa ciclistica più famosa del mondo, insieme col Giro d'Italia, non era mai approdata? Ufficialmente, dicono gli organizzatori a Parigi, il Tour non era mai sbarcato nell'Ile de Beautè per ragioni logistiche. Ma è un modo imbarazzato per nascondere la verità vera (il Giro d'Italia può toccare, come è accaduto numerose volte la Sardegna e la Sicilia e il Tour la Corsica no?): e cioè che nessuno, a Parigi, aveva voglia di mettere a repentaglio le società, gli atleti e tutto l'ambaradàn che si muove intorno alla Grande Boucle, rischiando l'attentatone che avrebbe riportato d'attualità il comatoso indipendentismo corso.

Adesso, la svolta. Dopo cento anni dalla sua creazione, il Tour sbarcherà a Porto Vecchio per lasciare l'isola dopo tre tappe, lasciandosi alle spalle di volta in volta Bastia, Ajaccio e Calvi. L'annuncio è stato officializzato da Paul Giacobbi, presidente della collettività territoriale corsa e da Christian Prudhomme, direttore del Tour.

Due porti e un aeroporto, calcolano gli organizzatori, saranno a malpena sufficienti per trasferire sul continente le star delle due ruote e il gigantesco circo che gira intorno al Giro. Per dire: oltre quattromila persone a bordo di 1600 veicoli, per un avvenimento che quest'anno è stato seguito da 630 tra giornali, radio, tv che hanno trasmesso in diretta e in mondovisione le tappe della Grande Boucle in 190 Paesi del mondo.

Diviso in almeno due tronconi che operano sotto la stessa sigla (Fronte Nazionale del Popolo Corso, Flnc) e in una galassia di piccoli gruppi sospettati di legami con la malavita, il movimento separatista di Corsica imboccò negli anni Settanta il sentiero della lotta armata contro il «colonialismo francese». Nel mirino edifici pubblici, «collaborazionisti», funzionari statali. Migliaia di attentati e una media di oltre 30 omicidi l'anno fino alla «campagna verde», il braccio di ferro contro mafia e speculazione turistica sulle coste, con bersaglio le immobiliari italiane che operano in Corsica. Gran parte degli investimenti turistici, lamentano i separatisti, fanno capo a «soldi sporchi» che la mafia realizza col traffico di droga e ricicla poi nell' isola.

Ma non è solo il Tour De France. Quest'anno, dopo un «divorzio» durato la bellezza di 33 edizioni, anche la Vuelta a Espana, il «Giro» spagnolo, è tornato nei Paesi Baschi, tra le città e i monti in cui i separatisti dell'Eta hanno spadroneggiato per lunghe stagioni. Una lunga pedalata da Bilbao a Vitoria, tra ali di folla festante, per dire addio ai timori suscitati dagli incappucciati demodè di Euskadi Ta Askatasuna.

Unica stecca nel coro i leghisti di casa nostra, che quest'estate hanno scelto proprio il ciclismo, in plateale controtendenza, per marcare la differenza tra il popolo «padano» e il resto d'Italia. Così, mentre in Francia e in Spagna il ciclismo unisce, in Italia la bici è stata presa in ostaggio per marcare certe pretese «differenze».

La prima edizione del Giro voluto da Bossi, partito da Paesana, alle fonti del Po, e arrivato a Montecchio Maggiore, nel vicentino, verrà ricordata per le polemiche politiche e le proteste, anche violente, di un pubblico aspramente contrario a una corsa di chiara ispirazione politica. La «pedalata dell'intolleranza», l'hanno chiamata in molti, ed è stato difficile dargli torto.

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