Se anche il "Corriere" si accoda a "Repubblica"

Infilarsi (come ha fatto la Repubblica) nei delicatissimi rapporti tra due coniugi (persino la «dura lex» si dà dei limiti in questo campo) per provocare una crisi politica, come la chiamereste simile attività? Scrivere, come ha scritto la Repubblica che arriveranno ragazze (che poi «appaiono» sul Corriere della Sera) a ricattare il presidente del Consiglio, parlare di una scossa (così Massimo D’Alema) il giorno prima che avvenga? Come definireste queste preveggenze? Come chiamare chi prepara questi piattini avvelenati? Come definire le manine dei pm che si mettono in moto per dare le informazioni di base da utilizzare? Si scrive che non sono i complotti a fare la storia. Sacrosanto. Ma altrettanto vero è che la storia abbonda di complotti, intrighi, manovre. Certo, vanno ben inquadrati nel loro contesto, quello che li rende o meno esplosivi. All’inizio degli anni Novanta si innescarono iniziative, con perfette caratteristiche di «complotti», dalla forte ispirazione anche internazionale (si voleva ridimensionare con metodi spicci un’Italia non più strategica nelle politiche da Guerra fredda) che trovarono un referente in una magistratura in cui una parte militante pensava di ridisegnare la Repubblica e una parte corporativa era irritata da iniziative precedenti del Psi sulla responsabilità civile dei magistrati. La crisi economica, le tensioni nella società, la vigliaccheria del Pci e della sinistra Dc contribuirono a rendere efficaci quei «complotti» e a portare allo sfascio il nostro sistema politico. Nel 1994 contro Silvio Berlusconi si costituì un ampio fronte dell’establishment - in quell’occasione persino Enrico Cuccia, che poi se ne pentì, diede una mano - anche allora in relazione con ambienti internazionali, specialmente europei, che utilizzò il colpo basso del circuito mediatico-giudiziario inferto a Berlusconi dalla procura di Milano d’intesa con il Corriere della Sera, in corrispondenza del vertice del G8 a Napoli. Diversi furono i fattori che aiutarono la sconfitta del governo: la rottura con la Lega Nord, il clima sociale, l’azione velenosa di Oscar Luigi Scalfaro. Tra il 2004 e il 2006, si ricompose uno schieramento di poteri forti e di sinistra per colpire e poi sconfiggere il governo di centrodestra: decisiva fu la Fiat e la Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo (nonché il Corriere della Sera di Paolo Mieli). Ma anche in quel caso le condizioni per la sconfitta non nacquero soltanto da un complotto quanto dal logorarsi dell’azione del governo. I complotti di questi ultimi tempi avvengono in un quadro diverso. La maggioranza governativa rappresenta un blocco sociale e politico sostanzialmente coeso. Al di là dell’azione del governo, su cui questo quotidiano bene informa, sono alcune caratteristiche economiche sociali che danno solidità: le piccole e medie imprese magari sono scontente per qualche lentezza ma sanno di essere al centro dei pensieri dell’esecutivo, il banconcentrismo di prodiana memoria è in ritirata, la Fiat si è proiettata all’estero invece che incombere sull’economia nazionale, nelle imprese regna la politica di cooperazione ispirata dalla Cisl mentre la Cgil è allo sbando, c’è consenso per le scelte tese a ridare orgoglio a chi lavora nello Stato. La situazione è difficile, ci saranno strette, ma il clima di fondo è positivo. Per quello che riguarda il quadro internazionale, anche i recenti incontri tra Barack Obama e Berlusconi hanno dimostrato come l’Italia abbia un forte ruolo nelle relazioni tra Paesi diversi, utile agli Stati Uniti. Certo c’è stato anche qualche nervosismo a Washington, perché sulle questioni energetiche l’Italia pesa sia in Medio Oriente sia in Russia. Certi nostri uomini politici dovrebbero sapere, in questo senso che esiste qualcosa che si chiama interesse nazionale: persino D’Alema nell’occasione della visita di Muammar Gheddafi lo ha dimostrato. Ma qualche elemento di competizione non ha in alcun modo compromesso - come bene ha constatato Obama - il nostro impegno nell’alleanza atlantica. La realtà internazionale depotenzia non poco i complotti che abbiamo visto in atto in questi giorni. Che però non mancano di avere i loro effetti: innanzi tutto incrinando l’azione pacificatrice berlusconiana che aveva avuto il suo vertice con il 25 aprile. Il che ha comportato anche qualche risvolto elettorale peraltro con un voto europeo che ha premiato la coalizione di centrodestra in modo netto persino in un Continente che certo «non va a sinistra». E proprio su questa paura di una pacificazione berlusconiana bisogna ragionare per capire i fatti di queste ultime settimane. Da una parte c’è stata la preoccupazione a Repubblica perché il Corriere della Sera interpretava troppo bene i tempi correnti e acquisiva una centralità che avrebbe portato un primato. La svolta gossippara e aggressiva ha portato copie a Largo Fochetti e ha messo in difficoltà quelli di via Solferino che cercano di cavarsela da una parte pubblicando una appassionata testimonianza di Giulio Tremonti contro gli intrighi del 1994 e dall’altra un bel po’ di spazzatura di una giovane avventurosa di Bari che confusamente mischia festini e appalti di famiglia, il tutto condito da una schifosa insinuazione - appoggiata su presunte valutazioni dei soliti magistrati - di «induzione alla prostituzione». Naturalmente in una realtà così collusiva come quella italiana, dove la magistratura militante si è coltivata «colonne» in tante redazioni, e dove le proprietà vivono i mal di pancia delle oscillazioni del potere economico in una stagione di crisi, i giochi non sono solo quelli delle tirature. Ognuno vorrebbe contrattare anticipatamene il proprio ruolo in una futura pax nazionale. Persino Carlo De Benedetti è in particolare affanno: contestato da un Gianni Tamburi qualsiasi nella sua M & C. Protetto principalmente dalla Bim della famiglia Segre, tutta impegnata, però, a risolvere anche i suoi rapporti con Danilo Coppola: «discusso immobiliarista», lo definisce con inconsueta delicatezza Vittoria Puledda sulla Repubblica. Anche al Lingotto, dove partono sarcasmi sugli incontri Obama-Berlusconi e grandi elogi per Gianfranco Fini, si vive con attenzione la costituzione di nuovi equilibri: l’attacco di Angelo Benessia, presidente del socio di maggioranza relativa Compagnia San Paolo, non tanto a Crédit Agricole e Generali, quanto a Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti, indica sommovimenti non ancora perfettamente mirati.

A mio avviso certe mosse sgraziate ed eccessive che sfregiano più che il presidente del Consiglio, l’Italia, più che da tradizionali manovre nell’establishment, nascono dalla fine del vecchio equilibrio, chiuso e oligarchico, e dalla mancanza di uno nuovo. Come darsene uno che non sia più arrogante e volto al passato? Ecco un compitino dell’estate per chi è stufo dei complotti in corso.

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