Se il centrodestra ha la tentazione di pestarsi i piedi

Se il centrodestra ha la tentazione di pestarsi i piedi

Francesco Damato

Temo che quello verificatosi domenica scorsa tra i presidenti della Camera e del Consiglio sul tema dell'illusionismo non sarà l'unico incidente, o equivoco, di questa lunghissima campagna elettorale. Pier Ferdinando Casini dovrà probabilmente ricorrere di nuovo al portavoce o provvedere lui direttamente con precisazioni e smentite a spegnere i fuochi dell'antiberlusconismo cui si prestano a torto o a ragione i suoi comizi. Che si alternano alle interviste e alle dichiarazioni con una frequenza apparsa a qualcuno esagerata, considerando il tempo che ancora ci separa dallo scioglimento delle Camere e l'obbligo ad un certo distacco istituzionale che sino a quel momento gli potrebbe essere reclamato sia dagli avversari sia dagli amici. Ma egli ha con molta e lodevole franchezza notificato a tutti, sottolineando il ritorno dal gruppo parlamentare misto a quello della sua Udc, la decisione di non risparmiarsi nella lotta politica riaccesa dall'orizzonte elettorale.
L'alta probabilità, se non l'inevitabilità, di nuovi incidenti o equivoci tra Casini e Silvio Berlusconi deriva dal carattere competitivo che i loro rapporti politici, e forse anche umani, hanno finito per assumere da quando Forza Italia ha accusato flessioni elettorali e l'Udc, favorita un po' dal prestigioso incarico del suo leader e un po' dalle modeste posizioni di partenza, che rendono vistosi anche piccoli guadagni percentuali, ha pensato di poterne trarre chissà quali e quanti vantaggi.
Marco Follini da segretario dell'Udc aveva cercato di alimentare il carattere competitivo dei rapporti tra Casini e Berlusconi in modo esasperato, tanto da mettere a rischio l'alleanza e da allarmare lo stesso Casini, che mi è sembrato liberarsene al vertice del partito con un certo sollievo. Ma l'accantonamento di Follini non ha eliminato la competizione, che «non è uno scandalo», ha appena ribadito il presidente della Camera. Né poteva eliminarla, visto che tanto Casini quanto Berlusconi hanno stranamente rinunciato a fissarne i limiti nel modo a mio avviso più congruo: sottoponendo la leadership berlusconiana dell'alleanza alla verifica delle cosiddette elezioni primarie. Che, per quanto poste sul tappeto da Follini in forma assai sgradevole, furono indicate da Gianfranco Fini a fine settembre come «occasione di rilancio della coalizione di centrodestra» e da Sandro Bondi, di Forza Italia, come un percorso «per arrivare meglio al traguardo del partito unitario» dei moderati.
Le primarie non avrebbero potuto che confermare il ruolo di guida di Berlusconi, togliendo peraltro agli avversari la possibilità di cercare d'imbrattarlo ancora con l'aggettivo «proprietario» e di opporgli quello «democratico» goffamente vantato da Romano Prodi, messo dai Ds e dalla Margherita al riparo, nelle votazioni del 16 ottobre, da qualsiasi candidatura che potesse veramente insidiarlo.
Nel centrodestra si è invece deciso di considerare lo strumento delle primarie superato, o assorbito, dal ritorno al proporzionale. Che, pur tenendo insieme l'alleanza con l'obbiettivo del premio di maggioranza, consente alle liste dei tre principali partiti di contarsi separatamente e di misurare il peso dei rispettivi leaders per eventuali nuovi equilibri.

Ma così potrà crescere in campagna elettorale la tentazione oggi di Casini, domani di Fini, dopodomani di entrambi di pestarsi i piedi, e di pestarli a Berlusconi. Al quale non si può francamente chiedere di lasciarseli pestare sempre in silenzio.

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