Se la donna del cuore torna in punta di piedi

«Il gabbiano» di Sandor Marai scandaglia la grande miniera dell'animo umano messo a soqquadro da un amore perduto. E inquadra in primo piano il cuore. Quello di un uomo e di una donna che credevano di non incontrarsi mai più...

Morire d'amore. Morire per amore. Ovvero, quando a morire non è l'amore. Ma tu. Tu che sei rimasto solo. Solo con una fotografia. Solo con i ricordi. Solo con la nostalgia. Solo con il sentimento. Di un cuore che non batte più. Di un cuore che si è fermato. Di un cuore lasciato nel mondo di quaggiù. E una sera, posando una stilografica dopo un giorno di lavoro, ti chiedi cosa è rimasto di quell'amore. E scopri di non saper rispondere. Perché è rimasto tutto. Inalterato. Mai cambiato. Immobile. Come se neanche un minuto del tempo trascorso avesse offeso quelle pulsazioni. Logorandole. Rallentandole. Sbiadendole. Facendole impallidire. E svanire. Come solo lui, il tempo, sa fare. E guardi quella foto che continua a fare bella mostra di sé. Orgogliosa. Sull'angolo di una scrivania. Un'immagine di donna. Quella donna. Non una donna. Non qualsiasi donna. Quella che ha voluto andarsene. Quella che si è arresa. Quella che ha buttato la spugna. E, con la spugna, anche te. Ed è volata via. Lasciando dietro di sé lacrime di giornate plumbee. Ore aride. E un sole malato. Occhi vuoti. Gioia finta. Sorrisi senz'anima. Perché lei, quella lei, non c'è più.
Quando uno si stufa di leggere porcherie compra un romanzo di Sandor Marai e «Il gabbiano» (Adelphi, pp. 163, euro 16) aggiunge una tessera al mosaico di quel dramma. E se questa lei ritornasse in punta di piedi... Metti una sera d'inverno. Una città straniera. Una sosia, all'apparenza. Una voce già sentita. Un volto già conosciuto. Quella donna che si era uccisa per amore... era morta davvero. Eppure era misteriosamente presente. Lì. In quell'istante. Ora. Volto. Voce. Carne. Volto da contemplare. Voce da ascoltare. Corpo da possedere. Per intanto, semplicemente, da baciare. È viva. Vivissima. Racconta e si racconta. Non risparmia particolari. Non glissa sulle sfumature. È una reincarnazione. Sopravvissuta e sopravvivente. Cerca l'incontro. Accetta l'invito. Non si sottrae al dialogo. Non rifiuta una sera all'Opera. Sfoglia il passato. L'album dei ricordi. I più dolorosi. E i più suggestivi. Presta attenzione. Perché sì, «una donna che fugge da tutto e da sola, cosa può fare se non prestare attenzione... In fondo anche quello è un mestiere». E si ritrova «in braccio» a un uomo. Metaforicamente, ma «in braccio».
L'uomo che le racconta quei mozziconi di uno ieri sui quali lei ha sapientemente glissato. E le lascia una fotografia da guardare. Quella fotografia. Quell'immagine di donna. Che tanto le assomiglia. Che tanto la ricorda. Il passato che ritorna. Sopravvive. Lui che la supplica di restare. Lei che si allontana. E lo uccide una seconda volta. Già, morire d'amore. Anzi, per amore. Ovvero, quando a morire non è l'amore. Dopo che il destino, uno strano destino, ha fatto incontrare due volti. Servendosi di occasioni. E opportunità. Lastricando il sentiero della vita di inopinate coincidenze. Attimi. In cui capisci che non sei solo. Che quassù o laggiù, in qualche cuore forse sconosciuto, c'è qualcuno che ti ama. Che ti lascia. Che, forse, ritorna.

Che studia da grande. Che non si arrende. Che in tasca ha le chiavi di una casa che conosce. Che non si vergogna ad ammettere il valore di un affetto lasciato per strada. E che già, forse, un giorno potrebbe tornare.

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