Una lagna. I meridionali immigrati, emigranti, itineranti. Il Sud che piange davanti ai figli che partono, il Sud che si trascina tra sole, mare, vento, controra, sagre, tradizioni, la nostalgia malinconica, la memoria di tempi e volti smarriti, il profumo dei limoni e gli schiaffi del maestrale. Sembra che il fenomeno dell’emigrazione appartenga soltanto ai meridionali. In Inghilterra accade il contrario, a Londra se la spassano, su al Nord sono ancora alla rincorsa dei favolosi anni Sessanta, dei Beatles e dei fumi del carbone, tracannano la birra bestiale di Newcastle, si sbronzano per dimenticare e non sapere. Qui no, qui si sfogliano gli album di famiglia, zio Peppino, nonna Nunzia, il parroco Sabino, le orecchiette, la frisa con il pomodoro. Una nenia, come un funerale sotto il sole, con zero partecipanti, a parte il defunto. Dico che in Italia e nel mondo ho incontrato decine di friulani pur’essi immigrati, emigrati, migranti, hanno il loro fogolar, si riuniscono, controllano la denominazione di origine ma non «se la» e non «ce la» menano con la storia del treno della speranza, del viaggio verso il futuro, della fuga al Nord anche perché loro dal Nord sono partiti per ogni dove. In Messico, il villaggio stava alla periferia di Puebla, ne incontrai una comunità, mi offrirono albicocche e pane, parlavano una strana lingua mista: «Guapo, ciapa sta fruta, xè bona, muy bona», non uno di loro si mise a frignare ricordando il frico, la gubana, la polenta, la grappa, i cori degli alpini, erano fieri di aver portato altrove la storia, la tradizione della loro terra, facevano i contadini come al loro paese.
Il Sud vive come una lucertola al sole, si ferma, osserva i movimenti di chi e di che cosa gli accade attorno, poi scatta, improvvisamente, fugge, sfugge, scompare. Il Sud è meraviglioso non soltanto per il mare, per il sole, per il cibo. È meraviglioso per la qualità e il costo della vita, è meraviglioso perché se cerchi un fabbro lo trovi all’angolo, se cerchi un idraulico, un falegname, un artigiano non devi ricorrere alle pagine gialle, chiedi, domandi, trovi risposta cortese. Diranno: quale sud? Quello di Gomorra? Quello della malasanità? Quello delle discariche abusive? Quello dell’incendio al Petruzzelli o di punta Perotti? Perché al Nord dove credono di vivere, tra una clinica santa Rita, la mafia del Brenta, Seveso, i ponti che crollano sul Po?
E invece ariecocci con il lamento funebre dei lavoratori che risalgono il Paese alla ricerca della speranza perduta. Sono finiti quegli anni, il tempo in cui chi sbarcava a Torino trovava il cartello «non si affitta ai meridionali», chi accendeva la radio si sintonizzava su emittenti dal nome improbabile Radio Barletta Internazional, Napuli dee jay, isole alla ricerca del continente. Erano davvero quelli gli anni duri, difficili. Il terrone (molti continuano a usare questo termine non conoscendone l’etimologia; riflettete un attimo, pensate alla stazione ferroviaria di Milano, al terrapieno che limitava, e limita, i marciapiedi di arrivo dei convogli, al fatto che erano i meridionali, gli extracomunitari del tempo, a portare, con le carriole, il «terùn» e dunque così venivano rinominati dalle belle gioie lombarde, in esclusiva, tanto che a Torino noi stessi meridionali non veniamo chiamati terroni ma «nàpuli», dai falsi e cortesi piemontesi, quelli che se gli tocchi la «crota», la grotta-cantina, si ammosciano), il terrone, dicevo, vive questa paranoia della lontananza, del viaggio in terza classe fumatori, con il caciocavallo e i mezziziti dentro la valigia di cartone o, adattandosi ai tempi moderni, di una globalizzazione che riduce al minimo i valori e le tradizioni storiche, azzerati da internet, dal cyberspazio e da tutte quelle balle lì. E così la processione si rimette in moto, come accade, questo sì veramente, in quasi tutti i paesi del Sud, la Vergine incoronata e la banda comunale, i ceri accesi e le donne con il velo ma se qualcuno preferisce gli happy hour o i rave party nordaioli, si accomodi pure.
Il Sud è criminalità, è cafoneria, d’accordo, tanto quanto il Nord che, astutamente, di altro parla, di altro scrive perché quelli che il progresso, perché quelli che una città da bere, perché s’el custa? Nessuno scappa dal Sud, molti vorrebbero scappare dal Nord, si vive piuttosto che sopravvivere, si segue invece di essere seguiti, ho visto torinesi in campeggio sul Gargano festeggiare il ferragosto con la bagna caoda, ho evitato una comitiva toscana che non riusciva a staccarsi dalla ribollita nonostante la canicola del mezzogiorno di fuoco in Salento ma nessuno mi massacrava lo stomaco e dintorni con la storia dell’emigrante triste e solitario.
Il Sud non deve essere salvato, la vita non è altrove, il paradiso non esiste, la città è un miraggio di ipermercati, il pendolino collega un’Italia che è geograficamente quasi impossibile da legare, visitate alcuni rascard della val d’Aosta, fate un giretto in alcuni budelli della costa ligure e poi spiegatemi dove sta la verità.
Basta, allora, fermarsi e pensare, a una terra che è diversa, a uomini, anch’essi diversi, per fortuna, cercate il falegname, chiedete dove lavora il fabbro, chiamate l’idraulico. Troverete comunque una voce, non una segreteria telefonica.
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