«Se la Franzoni ha ucciso non può ricordare»

«Se la Franzoni ha ucciso non può ricordare»

«O la signora Franzoni è innocente oppure, se ha ucciso il suo figlioletto, non se lo può ricordare». Isabella De Martini, docente di psicologia medica all’università di Genova e specialista in neurologia in Italia e negli Usa, interviene in un delicato momento processuale di Annamaria Franzoni. E non ha dubbi nel dichiarare: «Quella donna può soffrire di una rara forma di epilessia temporale e, nei momenti di crisi, si possono compiere anche azioni violente che poi non si ricordano assolutamente».
Come può ipotizzare una diagnosi del genere?
«Ho visitato la Franzoni a lungo, dopo aver analizzato gli atti del processo. Sono stata con lei per dieci ore consecutive, il 22 giugno scorso, presso lo studio dell’avvocato Taormina».
Come mai è stata chiamata da Taormina?
«Il professore mi ha contattato perché avevo dichiarato pubblicamente che le perizie psichiatriche senza visitare il paziente non sono attendibili. I periti della procura si sono basati per le loro diagnosi su carte processuali e solo sul referto di un elettroencefalogramma fatto più di quattro anni fa».
È riuscita a fare effettuare un nuovo esame specifico?
«Certo, si è sottoposta a un elettroencefalogramma con deprivazione di sonno e a una risonanza magnetica nucleare per approfondire il suo stato di salute subito dopo il nostro incontro».
Il risultato?
«Il referto è significativo. In pratica, c’è qualcosa che non va. Il tracciato è stato sequestrato dal procuratore di Torino ed è stato mostrato a un neurologo. Ma quel medico ha ipotizzato la stravagante diagnosi di sonnambulismo».
Perché non condivide questa diagnosi?
«Per diversi motivi. Sia la dottoressa che visitò la sera prima del delitto la Franzoni, sia il medico del carcere avevano notato alcuni precisi sintomi di probabile origine neurologica».
Quali?
«La dottoressa della guardia medica parlava con toni bassi, ma la Franzoni continuava a chiederle di non urlare per non svegliare i bambini. E ciò mi ha fatto pensare a un episodio di alterata percezione acustica, tipica di alcune forme di epilessia temporale. Un sospetto confermato dalle parole del medico del carcere, che riferiva di un episodio di micro-macro grafia di cui la Franzoni non si rendeva conto».
E nella storia clinica della Franzoni ci sono avvisaglie di questa patologia?
«Da piccola ebbe diversi episodi di convulsioni febbrili, nel corso della sua vita ha avuto alcuni svenimenti. Inoltre soffriva di stati confusionali, crisi d’ansia e di panico, accusava formicolii, era soggetta ad alterazioni visive, a tachicardia ed eccessiva sudorazione, a incapacità di mettere a fuoco, a mal di stomaco: tutti sintomi della rara forma di epilessia che se fosse stata curata con farmaci avrebbe potuto prevenire i suoi disturbi».
Ma la Franzoni può essere considerata una persona normale?
«Lei è una persona normale che verosimilmente soffre, indipendentemente dal fatto che abbia o meno commesso un infanticidio. Ma non è una sonnambula, è affetta da una rara forma di epilessia temporale a sintomatologia complessa, che potrebbe aver provocato un’incapacità totale temporanea di intendere e di volere».
Dunque secondo lei è psichicamente normale?
«Sì, è ben consapevole del proprio ruolo, della propria posizione processuale, delle proprie responsabilità nei confronti di se stessa e dei figli. È ragionevolmente preoccupata ma ben determinata a non lasciarsi influenzare da nessuno, nemmeno dal suo consulente psichiatra, il professor Nivoli, che le consigliava di accogliere la “ciambella di salvataggio” della semi-infermità psichica».
Che cosa le ha detto al riguardo?
«Preferisco fare 30 anni di carcere che accollarmi una colpa per un fatto che non ho commesso, uccidere mio figlio».
Che cos’altro è emerso dal colloquio?
«La Franzoni è diretta, ti guarda negli occhi, non ha esitazioni, risponde a tutte le domande.

Le ho spiegato che la sua patologia poteva essere non di tipo mentale ma un’epilessia e dunque, pur essendo sana di mente, poteva aver commesso il fatto senza averne alcuna memoria. Di fronte a questa possibilità l’ho vista turbata, ma poi si è dichiarata disposta a effettuare degli esami che le avevo prescritto».

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