nostro inviato a Glasgow
A Roma come a Glasgow vale la stessa raccomandazione: non bisogna aver paura di avere coraggio. Serve per sconfiggere il cancro della violenza esploso nel corpaccione del Belpaese, serve per conquistare questa sera su un magnifico campo di calcio, Hampden Park, in Scozia, la qualificazione tormentata all’europeo della prossima estate (appuntamento in Austria e Svizzera, due passi da casa). È d’accordo Donadoni: «Le chiacchiere non sono utili, è utile lo spirito guerriero». Non è una semplice impresa, come dimostra la striscia dei successi domestici degli scozzesi (cinque su cinque nel girone, persino la Francia messa sotto) e come conferma l’assenza di blitz azzurri da queste parti (tre precedenti appena, una sconfitta e due pareggi, l’ultimo due anni prima, guadagnato dall’Italia di Lippi, 1 a 1, gol di Grosso nel finale tambureggiante). Persino la posizione nella classifica Fifa dei rivali deve incutere rispetto: sono saliti al tredicesimo posto. Neanche l’Italietta di Donadoni, messo in croce come una sorta di ct abusivo, se la passa male però: terza. «Come si fa a sbagliare una partita così?» s’interroga il ct, sereno, determinato. In due anni giusti giusti, dal trionfo di Berlino per intendersi, gli si possono addebitare un paio di scivoloni: quello di Napoli con la Lituania al debutto e l’insipido 0 a 0 con la Francia a settembre scorso. Grazie allo strepitoso orgoglio dei fratelli georgiani di Kaladze, questa sera la Nazionale ha a disposizione due frecce nel proprio arco: può accontentarsi del pareggio oltre che puntare in alto, al successo pieno, che equivarrebbe a centrare il primato del girone, risultato di nessun valore strategico ai fini della qualificazione. «Ho detto a Zambrotta: se giochiamo per il pari, andiamo fuori dall’europeo» la confessione di Donadoni.
Ecco il punto, allora: non bisogna aver paura di avere coraggio. Per un motivo semplicissimo, è il caso di aggiungere: questa sera ci aspettano al varco. Cinquantamila dentro lo stadio a cantare e incitare (godetevi lo spettacolo delle sciarpe, è unico) e poi undici scatenati scozzesi stimolati dall’idea di fare meglio dell’Inghilterra (non si qualificano dal ’96 per un europeo). Pensano di rinchiuderci dentro il fortino armato di Buffon per poi ricavarne il beneficio di un successo: a furia di attaccare a testa bassa, prima o poi un varco si può trovare, immaginano. Risalite nel credito continentale le loro quotazioni anche per effetto dei due club più rappresentativi: i Rangers stanno oscurando il Lione, il Celtic si ritagliò la serata di gloria col Milan infliggendogli una beffarda sconfitta (appesantita dalla sceneggiata di Dida). Di qui la scelta di Donadoni di non farsi dettare il copione, anzi di imbrigliare la frenesia altrui col palleggio e l’abilità tecnica della scuola italiana. «Ho detto ai miei: qui vinciamo tutti o perdiamo tutti» l’altro passaggio del predicozzo del ct. A Bari, nel marzo scorso, due capocciate di Toni sistemarono agevolmente la pratica. Gli scozzesi son fatti così: leoni in casa, pecorelle smarrite fuori dai confini. Ambrosini preferito a De Rossi risponde a questa esigenza, il ballottaggio Camoranesi-Iaquinta risolto in favore del primo la seconda chiave di lettura. Le ripartenze ispirate da Pirlo e le volate di Di Natale possono stravolgere il piano scozzese.
Per la seconda volta nel giro di due anni, tocca a questo gruppo specialissimo di uomini veri, il compito di cancellare dall’orizzonte del calcio italiano un altro dramma. Durante il mondiale si fecero carico di lavare in pubblico i panni sporchissimi di moggiopoli, questa volta c’è da rimettere in moto il settore coinvolto suo malgrado dall’ennesimo lutto. Da Donadoni a Pirlo, da Cannavaro a Toni hanno tutti negli occhi un velo di grande tristezza lungo il viaggio da Pisa a Glasgow. Solo l’urlo feroce di Hampden Park, questa sera, può strapparlo e restituire il coraggio che ebbero ad Amburgo, contro i tedeschi padroni di casa e del pronostico. «Questo possiamo fare noi, far bene il nostro lavoro e tenere alto l’onore della maglia azzurra» ricorda Donadoni. Possono ridarci la forza per tornare negli stadi di casa nostra, in compagnia di figli e nipoti, con un lutto al braccio in memoria di Gabriele Sandri ed è scontata la dedica.
«Dalle mie parti si dice: prima di dare uno per morto ci vuole il certificato del medico» così il ct esorcizza il pericolo. Perciò non vale la pena avere paura.
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