Il caso degli attivisti di Greenpeace che hanno danneggiato una centrale elettrica a carbone, e che sono stati assolti per gli alti fini della loro azione, pone interrogativi ambientali, giuridici, sociali, morali. Quelle centrali rappresentano davvero, come sostengono scienziati autorevoli - tra loro il professor James Hansen della Nasa - una minaccia per il futuro dell’umanità? L’asserita pericolosità di questi progetti autorizza chi li vuole combattere a trasgredire le leggi? Come deve essere valutata, dal governo d’un Paese democratico, la ribellione di minoranze o di gruppi organizzati a decisioni prese dallo Stato con procedure rispettose delle regole? Tutto questo vale per l’episodio avvenuto oltre Manica: ma vale egualmente per la Tav o per la base Usa di Vicenza o per le discariche del napoletano.
Il fatto anzitutto. Un commando di sei affiliati a Greenpeace aveva scalato, nell’ottobre dello scorso anno, l’altissima ciminiera della centrale di Kingsnorth nel Kent, per apporvi una scritta contro il primo ministro Gordon Brown. Costretti a ridiscendere, i dimostranti furono denunciati avendo causato - per la rimozione dei graffiti - una spesa di 35mila sterline. Ma una giuria di nove donne e tre uomini li ha adesso prosciolti per avere agito con buone intenzioni. I giurati hanno così accolto la tessi della difesa: la quale s’era appellata a una legge del 1971 che autorizza a provocare un danno se lo si fa per evitarne uno maggiore.
Questa decisione non può essere fatta risalire alle toghe rosse o d’altro colore-perché le giurie popolari anglosassoni sono del tutto indipendenti. Ma offrirà egualmente motivi di riflessione e di critica. I 12 cittadini - anzi in schiacciante maggioranza cittadine - che hanno avallato il beau geste di Greenpeace si sono di sicuro sentiti confortarti da un vasto sostegno della gente comune. Va precisato che il sistema giuridico anglosassone differisce profondamente dal nostro, essendo fondato su un complesso di leggi non scritte (common law) e sui precedenti giurisprudenziali. È dunque meno facile in Inghilterra di quanto lo sia in Italia, o in Spagna o in Francia rimproverare a un giudice a una giuria l’essersi discostato dal dettato dei codici. Perché i codici - così come noi li intendiamo - non ci sono.
Eppure dalla sentenza inglese traspare uno stato d’animo, comune a gran parte del mondo occidentale, di adesione a quelle che sono ritenute buone cause. Un’etica magari generica e vaga ma generosa si sovrappone al diritto e anche all’osservanza delle procedure democratiche. Magistrati italiani hanno stabilito che rubare quando si ha fame non è più reato, e che non si deve perseguire chi entra illegalmente nel nostro territorio se è spinto dal bisogno. Posso benissimo capire gli stimoli emotivi che portano a questo. Capisco egualmente - per la centrale a carbone - il fascino di crociate contro gli egoismi dei poteri forti. Tutto un filone della migliore cinematografia americana - se non sbaglio il capostipite è stato Frank Capra - opponeva gli ingenui e gli onesti, il popolo, ai cinici prevaricatori.
Ma può capitare che prevaricatori diventino - dicendo no a tutto senza presentare alternative e senza assumersi responsabilità - proprio coloro che si atteggiano a sacerdoti dell’ideale. Non ho la competenza indispensabile per esprimere un giudizio tecnico sugli argomenti di Greenpeace e del professor Hansen,e sugli argomenti di chi invece è per la centrale a carbone.
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