Vorrei dar ragione a chi dice che domenica prossima si vota il sindaco e non per la politica in generale. Vorrei dar ragione a chi, magari esponente della sinistra, sostiene che il voto è amministrativo, si vota la persona, si vota per la città, mica è un referendum su Berlusconi. Potrei dire che di solito l'opposizione usa anche il voto amministrativo per mandare l'avviso di sfratto al governo, ma se questa volta non dà un valore politico al voto, vuol dire che ha paura di perdere il referendum.
Buon segno per il centrodestra. Ma nonostante questo, vorrei davvero scegliere uomini e temi locali, ad altezza di città e non seguire proclami, scontri di civiltà, schieramenti ideologici. Vorrei, ma siamo condannati a esprimere un voto politico e vi dico perché, a brutto muso. È una tesi irriverente, che farà storcere il naso a molta gente, e a tanti sindaci, di vari versanti. L'esperienza di questi anni mi ha convinto che i sindaci e le amministrazioni possono far ben poco per la loro città e poco di diverso, gli uni dagli altri. La stragrande maggioranza delle città e dei piccoli Comuni ha un itinerario obbligato di priorità, risorse ed emergenze da cui è difficile uscire. Chiunque faccia il sindaco farà certe cose e non potrà farne delle altre, sia esso di centrodestra che di centro-sinistra. La differenza tra un sindaco e un altro si gioca diciamo sul dieci per cento del suo operato: è quello, grosso modo, il terreno concreto e simbolico su cui effettivamente si potrà differenziare. Il restante novanta per cento sarà comune.
Così sulle risorse umane: dovrà usare per nove decimi il personale preesistente e solo per un decimo porterà suoi collaboratori ed esterni. Resta il rapporto di uno a nove. Però se soltanto il dieci per cento qualificherà nei fatti un sindaco rispetto a un altro, il novanta per cento del giudizio su di lui sarà affidato all'immagine che, col suo concorso, di lui daranno i media. Sarà sconfortante ma è così. Vi faccio un esempio grosso e concreto di una città dove non si vota. Io non credo che con Alemanno sindaco di Roma, la città sia cambiata rispetto a Veltroni, né in meglio né in peggio. Se paragono le cose che più contano - servizi, traffico, trasporti pubblici, tenuta strade, nettezza urbana, salute, ordine pubblico - sono rimaste più o meno le stesse, con gli stessi problemi. Anche nel lato b, sul piano delle cose sbagliate, non c'è stato errore, vero o presunto, della giunta Alemanno che non avesse precedenti nella giunta Veltroni, compreso il capitolo brutto delle assunzioni parentali. Però nel giudizio prevalente dei media Veltroni figurava come un gran sindaco e Alemanno appare invece come una mezza sciagura. E se muore un rom per una stufa la colpa è di Alemanno. Perché il dieci per cento che fa la differenza tra i sindaci è schiacciato dal novanta per cento del pre-giudizio politico. Così è dappertutto. A Milano come a Napoli: alla Moratti non potendo imputare magagne o particolari sfasci, la incolpano per qualche candidato marginale, con l'aiuto di alcuni magistrati. Nella Napoli devastata dalla monnezza e dalla camorra, aggrediscono il candidato sindaco di centro-destra che non ha alcuna responsabilità se Napoli è ridotta in quel modo (è ovvio, ma col clima che c'è conviene dirlo: sarebbe incivile e illegale aggredire pure gli amministratori uscenti, nonostante le loro responsabilità).
È solo su un secondo livello che il ruolo di un sindaco diventa decisivo: per garantire o no un blocco di potere, come quello rosso del centronord, tra partito-coop-sindacato-imprese. Ma siamo su un piano politico-strutturale e non più sul piano personale del sindaco. Cosa voglio dire? Che alla fine, la valutazione di un sindaco e di una giunta è di natura politica. Certo, ci possono essere eccezioni, sindaci ottimi o pessimi, ma ancora una volta al 90% il criterio di giudizio è politico. Allora dico: rassegniamoci a un voto politico con ripercussioni sul governo nazionale. Volete la controprova? Se si votasse scegliendo la persona, tutti coloro che sostengono questa tesi dovrebbero differenziare le loro indicazioni di voto, secondo la città e i candidati.
A Viggiù sarà preferibile il candidato di sinistra e a Patù quello di destra, faccio due esempi a caso. Invece no, chi esprime questa teoria poi spinge solo i candidati del suo versante. Perché? Nella migliore delle ipotesi perché è tifoso e non è sportivo e fa gli interessi del suo partito, e nella peggiore delle ipotesi perché è convinto per dogma della superiorità razziale dei «nostri» sui «loro». Se la scelta ad personam è sempre da una parte, allora non è più ad personam, è politica. E la macchina dei media segue la stessa logica di schieramento; anche i giornali che fingono di essere equidistanti alla fine propendono per quelli della parte «giusta», amplificano o minimizzano errori e meriti secondo l'appartenenza. Bisogna poi aggiungere che se non ci fosse la chiamata alle armi, l'astensionismo da noi sarebbe assai più alto: è la motivazione politica, è l'antiberlusconismo (o l'antisinistrismo) a contenere la fuga nel non voto.
A volte il voto al sindaco è solo un'allusione al premier: si vota a nuora perché suocera intenda. Insomma, il voto è politico.
Per questo il sindaco è un valore aggiunto (o un disvalore aggiunto in certi casi), ma la contesa resta politica. Non sono felice a dirlo, ma è così. Siamo condannati a votare non turandoci il naso, ma spesso a occhi bendati. Non del tutto, naturalmente. Anche perché poi si sbaglia voto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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