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Se l’Italia non è mai pronta ad abbattere lo statalismo

Si diventa vecchi ad aspettare le riforme liberali. Quanti anni sono passati? Venti, trenta. Lo vedi nei volti dei tuoi maestri e di quelli che come te negli anni ’80 erano ragazzi. Il sospetto è che quelle riforme bisognava farle allora, quando Reagan e la Thatcher scardinarono l’illusione che lo Stato potesse regalare a tutti la felicità. La svolta fu a volte brutale, ma l’America e l’Inghilterra capirono che in questo mondo di gratis e senza fatica non c’è quasi nulla. L’Italia si illuse che a colpi di spesa pubblica l’ottimismo era garantito. Craxi intuì che sulle pensione e sul lavoro qualcosa bisognava fare e in fretta. Ma non ci riusciì. Non ne aveva la forza e a un certo punto neppure la voglia. Si perse nella vita quotidiana di Tangentopoli. Da allora sono passati tanti treni. I Novanta con le lacrime e sangue per partecipare al club dell'Euro e gli Anni Zero partiti con la new economy e finiti con la truffa dei mutui e la crisi sul collo. È buffo. Lo stato sociale italiano ha la pretesa di tutelare tutti, ma se uno sta veramente nei guai può anche crepare.
La verità è che in Italia le riforme liberali sono una storia di cui molti chiacchierano e nessuno vuole. Non fanno per noi. Non ci appartengono. Il liberalismo è responsabilità. Ti chiede di giocarti il destino senza scuse e alibi. Noi preferiamo vivacchiare. Bene o male alla fine ci fidiamo sempre dello Stato. È più comodo. Non mette in gioco il valore di una persona. È il così fan tutti.

Vai e cerca una raccomandazione, punta a un posto alle poste, tanto un sussidio non si nega a nessuno e poi ci sono le pensioni dei nonni, quelle che campano i ragazzi spaesati. L’ultima forma di welfare state. Non dureranno. Ma intanto si balla sulle macerie. Le riforme? Domani. Sempre domani.

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