Se libertà vuol dire essere schiavo dell’iPad

Qualcuno dice che siamo degli schiavi ed ecco perché perfino la giustizia statunitense ora si muove contro il tiranno. L’ultima su Steve Jobs è che può finire sotto inchiesta per aver costituito un cartello con le case discografiche: il suo obbiettivo - dicono i magistrati - è fare in modo che il prezzo dei file musicali non scenda sotto un certo prezzo, 9 dollari e 99 per un intero album. Ovvero l’obbiettivo è la schiavitù del libero commercio. E questo vuol dire che ormai, quando si parla di Apple, entra in campo il dibattito sulla libertà dell’era moderna. La nostra, forse.
Perché - l’abbiamo detto - Jobs è il nuovo Messia e se qualche giorno fa, il giorno dell’uscita della sua tavoletta, al Louvre di Parigi c’era più coda per vedere l’iPad messo lì in esposizione rispetto a quella per Monna Lisa, il segnale dei tempi che cambiano è inequivocabile. E la domanda è sempre la stessa: Apple è la nuova religione? E soprattutto: siamo adepti oppure - appunto - schiavi?
Parliamone allora, prima che sia troppo tardi. Steve Jobs ha conquistato il mercato con magnetismo e lungimiranza: dall’invenzione dell’iPod, il lettore musicale che il 90 per cento della popolazione mondiale ha in tasca, la tecnologia ha svoltato a suo comando, anche quando ci sarebbe stata qualche azienda pronta ad offrire qualcosa di meglio. Ma Apple ha istituzionalizzato la semplicità, e oggi avere un iPhone - cioè un telefono bellissimo che in certi casi fa meno cose di altri telefoni - è quasi un obbligo. Tanto che, secondo le stime, nei prossimi mesi se ne venderanno il doppio rispetto all’ultimo semestre. In pratica: mentre noi discutiamo lui moltiplica le vendite, grazie a una studiata strategia di rivelazione delle sue meraviglie che non fa altro che creare attesa. E quindi nuovi seguaci.
Quindi, il Messia, ci fa sentire liberi di acquistare i suoi prodotti, perché noi li vogliamo assolutamente e lui non può fare altro che metterceli a disposizione. Libertà a senso unico, come nel dibattito via mail avuto da Jobs con un famoso blogger americano che gli contestava la censura fatta da Apple contro le applicazioni pornografiche: «La libertà che offriamo - ha risposto Steve - è quella da programmi che rubano dati privati. Libertà dai programmi che esauriscono la batteria. Libertà dal porno. Sì, libertà». Ineccepibile. Convincente.
Dunque anche libertà di decidere di non vendere l’iPad a chi paga in contanti, così com’è successo a una disabile di San Francisco, perché Apple vuole avere sotto controllo tutti i suoi clienti. E libertà di cambiare poi idea per dimostrare magnanimità nei confronti delle associazioni scese sul piede di guerra, perché il Re - anche se fa mancare il pane - ha subito pronte le brioche.
Così, ecco, che dall’arrivo in Europa dell’iPad si moltiplicano i segnali che il nostro futuro è già scritto: ci sono comuni (quello di Ravenna) che lo metteranno in palio per i suoi cittadini, ci sono mode (in America) che già cambiano annunciando l’arrivo di abiti fatti apposta per contenere in qualche tascone la tavoletta magica, ci sono fatti (in tutto il mondo) che dimostrano come cambieranno le nostre abitudini, a cominciare dalla lettura dei giornali.
È libertà questa? Sicuro, libertà di essere al passo dei tempi, giusto uno dietro al Fondatore che ci ha messo in fila indiana come un pifferaio magico. Contenti di essere lì, naturalmente.

E riguardo alla schiavitù, in realtà non esiste alcun obbligo: tutte le meraviglie targate Apple possono tranquillamente restarsene sugli scaffali del negozio sotto casa, se ne può tranquillamente farne a meno. Comprarle, insomma, è solo una questione di libero arbitrio. Ma chissà perché non vedo l’ora che mi chiamino quando arriverà l’iPad che ho appena ordinato...

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