Se nessuno parla più della Cina

Caro Direttore,
il ritardo di questa lettera è voluto; avendo per oggetto la Cina non potevo scrivere ciò che tra poco leggerà nel timore che finisse semplicemente nella montagna di cose scritte e riscritte sulla Cina delle Olimpiadi o prematuramente nel cestino. Mi riferisco ai servizi di Luciano Gulli e di Stenio Solinas: sono tra le cose migliori che mi è stato dato di leggere. Da 24 anni mantengo rapporti con la Cina ed ho avuto la necessità di effettuare ben 14 viaggi in quel Paese per lo svolgimento di un programma di ricerche riguardanti il miglioramento quanti-qualitativo della produzione di carne bovina.
Ciò premesso, risulta subito evidente che la Cina che ho avuto occasione di conoscere meglio non è quella delle Olimpiadì, nè delle grandi città, bensì quella della campagna; quella campagna che Solinas giustamente definisce «in ritardo rispetto all'Italia del primo '900». Per obiettività devo dire che questa situazione non è generalizzabile dal momento che può variare a seconda delle attività e della posizione geografica, ma per quanto riguarda l'allevamento bovino e quindi le aree in cui questo viene praticato, nonchè le vaste aree cerealicole o a pascolo, Solinas ha visto giusto. A ben vedere, si tratta di quella parte della Cina in cui vivono praticamente almeno novecento milioni di persone, ben lontane dai grattacieli delle grandi città.
Gulli e Solinas hanno capito tanti aspetti della vita che caratterizzano le zone visitate, aspetti la cui presenza raramente è dato di riscontrare nelle corrispondenze giornalistiche dalla Cina e che andrebbero seriamente valutati anche in sede politica ogni qual volta si affrontano problemi relativi ai rapporti con Pechino. Non sono certamente io, nè desidero esserlo, colui che «scopre» i due giornalisti; il loro valore è ben noto, ma dal momento che si occupano della Cina, Paese che penso di conoscere abbastanza bene, intendo manifestare tutto il mio sincero apprezzamento.

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Caro professore, da queste parti non siamo troppo abituati a parlarci addosso. Però ci tenevo a pubblicare la sua lettera perché sono convinto anch’io che i nostri inviati a Pechino abbiamo fatto un gran bel lavoro. Con Solinas e Gulli c’erano anche Riccardo Signori e il capo delegazione, Benny Casadei Lucchi. Sono convinto che, insieme, abbiano raccontato al meglio non solo i protagonisti della vita sportiva, le storie, le emozioni che si nascondono in ogni manifestazione del genere, ma anche un po’ la realtà della Cina. Gli altri Giochi, come li abbiamo chiamati noi. Ero e resto convinto infatti che le Olimpiadi, una volta cominciate e non boicottate, fossero da usare per aprire una finestra su quel mondo. Abbiamo cercato di farlo. Siamo contenti che a molti lettori sia piaciuto. Ma la soddisfazione per il lavoro svolto (di cui ringrazio in modo particolare i colleghi) lascia il posto, una volta avuti i loro reseconti, a una preoccupazione ancora maggiore. Eh sì, caro amico, lei che conosce la Cina l’avrà capito: quelli ci mangiano. Quelli tra un po’ ci comprano.

Noi, spenta la fiaccola, abbiamo dimenticato ogni questione, Tibet e diritti umani. E loro, invece, continuano a crescere, ancor più forti di prima. Volevamo conquistarli all’Occidente attraverso lo sport. E invece, se non stiamo attenti vedrà, tra un po’ finiremo conquistati da loro.

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