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Se il Papa buono è quello che non c’è

Ha ragione il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, nel dire, con quel suo stile diretto e così poco curiale, che «per i laicisti di oggi, ma ahimé anche per qualche cattolico, sembra che l’unico Papa buono sia quello che non c’è più». Il porporato piemontese aveva risposto così alla domanda di Avvenire sulla ricorrente contrapposizione tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ieri, giorno del secondo anniversario di pontificato, ci ha pensato il settimanale Newsweek a confezionare un’articolata critica a Ratzinger, accusandolo di essere un «Papa invisibile», assente da tutte le frontiere che ne richiederebbero la presenza. Il settimanale ricorda, con una punta di nostalgia, che Giovanni Paolo II già nei primi cento giorni di regno aveva mostrato la sua attitudine di globe-trotter visitando il Messico, mentre il suo successore «è raramente uscito di casa». Lasciamo stare la possibile obiezione, facile facile, sulla differenza di età (Wojtyla è stato eletto a 58 anni, Ratzinger a 78) e fingiamo di non sapere che nei primi due anni il nuovo Papa – oggi ottantenne – è andato due volte in Germania e una volta in Polonia, Spagna e in Turchia, e ora si appresta a visitare il Brasile.
È interessante, invece, discutere l’obiezione di fondo contenuta nell’articolo di Newsweek. Benedetto XVI sarebbe interessato soltanto a ravvivare il cattolicesimo europeo malato di secolarizzazione e relativismo, si batterebbe soltanto per combattere l’aborto, l’eutanasia, la legalizzazione delle unioni gay, etc. Non si interesserebbe per nulla, invece, di altre grandi emergenze che si trova ad affrontare la Chiesa mondiale, come l’espansione delle sette in America Latina che, secondo alcune stime, causerebbe un’emorragia di ottomila persone al giorno dal cattolicesimo: «Ci ignora completamente» ha detto al settimanale il sociologo messicano Roberto Blancarte specializzato in questioni religiose. La stoccata finale riguarda l’antica messa di San Pio V, che il Pontefice si appresta a liberalizzare (e un atto di liberalizzazione, in linea con quanto già stabilito da Wojtyla, in fondo dovrebbe piacere ai liberal): un provvedimento bollato da Newsweek come «passo indietro» che tradisce la memoria di Paolo VI, il Papa delle riforme conciliari.
Sorprende, innanzitutto, la provenienza di queste critiche: Roberto Blancarte, ad esempio, sociologo anticlericale, è stato l’autore di attacchi violentissimi contro Giovanni Paolo II, contro il «romanocentrismo» del Papa polacco che sarebbe stato incapace di comprendere i fermenti dell’America Latina imponendo il suo medioevale progetto restauratore. Il suo non è un caso isolato: molti di coloro che oggi a parole rimpiangono Giovanni Paolo II e ne esaltano la grandezza per contrapporla all’«invisibilità» o al conservatorismo del suo successore, hanno scritto alcune delle pagine più critiche contro Papa Wojtyla, contro il suo presenzialismo sulla scena internazionale, contro il suo protagonismo che avrebbe mortificato le chiese locali facendo coincidere la Chiesa con la figura del Pontefice, immobilizzando di fatto il dialogo ecumenico a causa della scomoda presenza mondiale del «supervescovo di Roma». Sono gli stessi autori che polemizzavano apertamente contro i troppo frequenti viaggi del «globetrotter di Dio», contro i grandi raduni-parata, contro uno stile così diverso da quello del rimpianto Paolo VI, vero Pontefice moderno e artefice di grandi aperture sociali. Ma, se la memoria non ci inganna, erano poi sempre gli stessi critici a contrapporre proprio Papa Montini al suo beato predecessore, il «Papa buono» Giovanni XXIII. Ques’ultimo aveva aperto a tante speranze, alle quali, inspiegabilmente, Paolo VI (l’affossatore delle aperture conciliari, secondo una ben nota scuola storiografica abituata a leggere il Vaticano II come una rottura totale con il passato) non avrebbe dato seguito.

Insomma, è proprio vero che per qualcuno l’unico Papa davvero buono è quello che non c’è più.
Andrea Tornielli

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