Come smascherare la più colossale bufala del secondo millennio (anche del terzo) e vivere tutti felici e contenti. L’Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, il foro intergovernativo sul mutamento climatico istituito dalle Nazioni Unite allo scopo di studiare il riscaldamento globale del pianeta, non avrebbe capito nulla. E pensare che nel 2007 gli hanno pure conferito il premio Nobel... I rapporti di valutazione periodicamente diffusi dall’Ipcc, che sono alla base di accordi internazionali come la Convenzione dell’Onu sui cambiamenti climatici e il mitico Protocollo di Kyoto, sarebbero carta straccia, più o meno.
L’Ipcc ritiene che il riscaldamento globale della Terra vada attribuito per il 92,5% ai gas serra prodotti dall’uomo, in primis all’anidride carbonica, e per il 7,5% al Sole. Tutto sbagliato. Semmai sembrerebbe vero il contrario: è il Sole che modifica il clima e surriscalda il pianeta, non l’anidride carbonica e le schifezze emesse dai veicoli e dalle industrie, che incidono sull’innalzamento delle temperature in misura marginale. Quindi la pretesa del Protocollo di Kyoto di abbassare del 5% entro il 2012 i valori di anidride carbonica rispetto alle emissioni che si registravano nel 1990, con la speranza che le colonnine di mercurio dei termometri si comportino di conseguenza, non è soltanto ardua: è soprattutto inutile. Perché il Sole se ne impipa altamente delle umane decisioni.
A dirlo è il professor Nicola Scafetta, uno scienziato di 39 anni originario di Gaeta, che nel 1998, dopo essersi laureato in fisica a Pisa, se n’è andato a continuare i suoi studi in un’università del Texas e poi s’è trasferito a far ricerca e a insegnare al Free-electron laser laboratory della Duke University, uno dei più prestigiosi atenei degli Stati Uniti, fondato nel 1838 a Durham, nella Carolina del Nord. Scafetta è membro dell’Acrim (Active cavity radiometer irradiance monitor), centro mondiale di studio dell’irradianza solare associato alla Nasa, l’ente spaziale americano. Insomma, è uno di quelli che da noi vengono definiti «cervelli fuggiti all’estero», anche se non gli piace essere chiamato così: «Non mi sento per niente un fuggitivo. Espatriare allo scopo di confrontarsi a livello internazionale è quasi un dovere per chiunque voglia fare scienza in modo serio».
Alcuni osservatori ritengono che Scafetta possa legittimamente aspirare a diventare premio Nobel per la fisica nel 2035. Per capire il motivo del lusinghiero pronostico, basta leggere la presentazione del suo lavoro fatta dall’Us Environmental protection agency: lo scienziato italiano è l’unico al mondo ad aver elaborato una previsione scientifica sull’evolversi delle temperature planetarie da qui al 2100. Se le temperature seguiranno la sua previsione, continueranno a diminuire fino al 2030 per poi aumentare di nuovo fino al 2060. Ma già dal 2035 si potrà dire se si saranno comportate o no «alla Scafetta». E, in caso affermativo, sarà stato il nostro connazionale ad aver indicato a tutti come affrontare un problema altrimenti inintellegibile. Finora gli studiosi mondiali si sono accontentati di presentarci in proposito soltanto «scenari», che stanno alla scienza quanto i «se» stanno alla storia. Ma, come la storia non si fa con i «se», così la scienza non si fa con gli «scenari».
In parole semplici, di cosa s’è occupato?
«Ho simulato sistemi fisiologici per la diagnosi di ipossia e iperossia in pazienti a rischio».
Che c’entrano la diminuita e l’aumentata concentrazione di ossigeno nei tessuti del corpo umano? Pensavo che lei s’occupasse di clima.
«Anche. In realtà mi occupo di applicare modelli statistici a sistemi complessi non lineari, come quello che ho appena detto o come, appunto, le influenze del Sole, più precisamente dell’intero sistema solare, sul clima terrestre».
Oggi il «politicamente corretto» afferma che è l’uomo, con le sue emissioni di gas serra, a governare, anzi a sgovernare, il clima. Lei invece sostiene che è l’intero sistema solare, ho afferrato bene?
«A teorizzare che l’uomo governa il clima, e a essere stato insignito del premio Nobel per tale teoria, è l’Intergovernmental panel on climate change. Ma si ricordi che fu, quello dato all’Ipcc, un Nobel per la pace, non per la scienza. Secondo questi signori, il nostro pianeta rischia di raggiungere un punto di non ritorno se non s’interrompono al più presto le emissioni di CO2».
Cioè di anidride carbonica. E invece lei non crede a questo rischio?
«La Terra in passato, nel periodo cosiddetto Cambriano, 500 milioni d’anni fa, ha avuto già occasione di raggiungere questo presunto punto di non ritorno, quando la concentrazione di CO2 fu non 1,2 volte superiore ai livelli pre-industriali, com’è oggi, bensì 20 volte, diconsi 20, più elevata. Purtroppo l’umanità non misura gli eventi col metro della storia, in questo caso preistoria, ma con quello della cronaca. Senza rendersi conto che un secolo o due secoli sono niente, sul calendario del tempo. E gli eventi climatici seguono il calendario del tempo».
Com’è che all’Ipcc sono giunti alle loro conclusioni, a suo avviso avventate per non dire totalmente sballate?
«Fondandosi su modelli climatici chiamati General circulation models, che sono stati poi usati per fare proiezioni nel corso del XXI secolo, assumendo diversi scenari possibili. Questi modelli furono sviluppati prima del 2004, quando si credeva che la temperatura del pianeta fosse rimasta quasi costante nei mille anni precedenti all’era industriale. La credenza ebbe origine da un’analisi statistica effettuata nel 1998 da uno studioso, Michael Mann. Oggi sappiamo che è completamente errata. Inoltre, i cambiamenti climatici sono fortemente condizionati dalle nuvole, dal vapore acqueo, che è in assoluto il principale gas serra, e dalle correnti oceaniche, e i modelli attuali non tengono correttamente conto di questi contributi. I modelli hanno predetto un riscaldamento continuo della Terra in concomitanza con una continua crescita di CO2 durante gli ultimi dieci anni, ma questo riscaldamento non s’è avuto né negli anni dal 1940 al 1975, cioè in pieno boom industriale, né negli ultimi otto anni: in entrambi i periodi s’è osservato un raffreddamento del clima, non un riscaldamento. Inspiegabile, non trova?».
Trovo.
«E se si usano i modelli all’incontrario, cioè per “predire” il passato, essi non riproducono il forte riscaldamento occorso negli anni dal 1910 al 1940. Infine, i modelli che ho citato predicono un riscaldamento piuttosto vistoso nella media e alta troposfera, a circa 10 chilometri sopra l’equatore, ove invece le misurazioni satellitari degli ultimi trent’anni registrano un rinfrescamento».
Ha dell’altro da dire contro questi modelli?
«Be’, sì. Numerosi dettagli suggeriscono che essi non riproducono le oscillazioni viste per decenni nei dati della temperatura. E sistematicamente sottostimano gli effetti dei cicli solari sul clima».
Siamo giunti al cuore della questione: il Sole. Don Ferrante nei Promessi sposi incolpa le stelle dell’epidemia di peste. Lei invece attribuisce alla stella più vicina alla Terra il surriscaldamento del pianeta.
«Già. La domanda che una persona sensata dovrebbe porsi è: che cosa ha causato il riscaldamento della Terra nel trentennio 1910-1940, quando le emissioni di gas serra provocate dall’uomo erano pressoché irrilevanti? E scoprirebbe così che quello fu un periodo di forte crescita dell’attività solare, al pari del ciclo di circa tre secoli noto ai geologi come “periodo caldo medievale”. Mentre un periodo di scarsa attività solare, chiamato dagli astronomi “minimo di Maunder”, fu quello dei tre secoli attorno al 1600, noto ai geologi come “piccola era glaciale”».
Lei s’è posto la domanda.
«Sì. Ma ho seguito un approccio completamente diverso dall’Ipcc per rispondermi».
Mi spieghi questo approccio.
«Ci provo. Vede, i modelli dell’Ipcc, nel tentativo di contemplare la massima quantità di informazioni possibili, hanno incluso un numero enorme di parametri. Ma con un numero enorme di parametri liberi si può ottenere qualunque risultato. Il grande matematico John von Neumann usava dire: “Datemi 4 parametri e vi simulo al calcolatore un elefante; datemene 5 e gli faccio muovere la proboscide”. I modelli climatici, sebbene contengano centinaia di parametri, o forse proprio per questo, simulano malissimo la realtà. Io ho usato un criterio che chiamerei fenomenologico. Sono partito direttamente dai dati reali sul clima disponibili sin dal 1850 e ne ho fatto una dettagliata analisi statistica».
L’esito dell’analisi qual è stato?
«Ho potuto notare la presenza di cicli: i più importanti sono un ciclo di 60 anni e uno di 20. Quindi mi sono domandato quale fosse la loro origine, e credo di aver trovato la risposta. I cicli di 60 e 20 anni sono due cicli naturali, che influenzano tutto il sistema solare: il periodo sinodico di Giove e Saturno, precisamente 20 anni, e il periodo dell’orbita combinata di Giove e Saturno, precisamente 60 anni. Giove e Saturno col loro movimento intorno al Sole producono onde gravitazionali e magnetiche, che investono tutto il sistema solare e fanno letteralmente “ballare” anche il Sole e la Terra: i due maggiori periodi di queste onde sono proprio 20 e 60 anni. Ma forse un paragone tra il mio approccio e quello dei grossi modelli adottati dall’Ipcc può farle meglio capire lo spirito dell’analisi che ho condotto».
Sentiamo.
«Immagini che io voglia prevedere i suoi movimenti quotidiani per i prossimi giorni. Potrei cercare di costruire un modello che contenga decine di parametri liberi: lo stato di salute suo e dei suoi familiari, il traffico, le condizioni meteorologiche, i suoi interessi, il suo lavoro, eccetera, e usare quindi il modello per prevedere i suoi movimenti futuri in rapporto al variare dei parametri, cioè al variare degli scenari. Oppure potrei fare diversamente: studiare i suoi effettivi movimenti degli ultimi 100 giorni, analizzarli statisticamente in modo da enucleare gli elementi di ripetibilità che mi consentano di “prevedere” i suoi movimenti degli ultimi 1.000 giorni. Poi, se la “previsione” eseguita sul passato riproduce accuratamente questo stesso passato, ecco che allora posso usare il modello per avanzare una previsione vera sul futuro. Io ho fatto appunto così. Un mio modello si basa unicamente sul Sole: utilizza due informazioni statistiche presenti nella temperatura degli ultimi 30 anni e degli ultimi 150 anni, e ricostruisce più di 400 anni di clima. Un altro mio modello si basa sui pianeti: usa le informazioni degli ultimi 75 anni e riproduce i precedenti 75 anni».
Risultato?
«In entrambi i casi l’accuratezza delle “previsioni” sul passato è sbalorditiva. Ho quindi usato i miei modelli per fare previsioni da qui al 2100. Il punto centrale è che l’analisi da me fatta evidenzia che almeno il 60% del riscaldamento del clima terrestre osservato sin dal 1975 è causato dalle attività del Sole e degli altri pianeti. E, se così è, dovremmo attenderci un raffreddamento fino agli anni Trenta di questo secolo. Bisognerebbe pubblicare sul Giornale il grafico che ho disegnato al riguardo».
Manca lo spazio. Al massimo può esibirlo al fotografo che deve farle il ritratto, così lo vedranno anche i lettori.
«Il grafico mostra un tracciato rosso indicante la temperatura globale registrata dal 1850 in poi e le previsioni da qui al 2100 basate sul mio modello planetario. Per il futuro sono indicate con curve nere due diverse ipotesi: quella in cui la temperatura mantenga l’attuale fase di crescita e quella in cui la componente secolare dell’attività solare dovesse per qualche ragione ridursi, come peraltro altre considerazioni fanno presumere. Il futuro previsto da me appare ben diverso dalle proiezioni catastrofiche dell’Ipcc, rappresentate dalla curva tratteggiata in azzurro».
C’è nella comunità scientifica qualche altro studioso convinto che non siano le attività umane a governare il clima?
«Ne esistono moltissimi. Faccio parte di un comitato non governativo, l’Nipcc, Nongovernmental international panel on climate change, che ha prodotto quest’anno un corposo rapporto, il Climate change reconsidered, il quale è giunto alla conclusione che è la natura, e non l’uomo, a governare il clima. Questa conclusione è stata fatta propria da oltre 31.000 scienziati americani».
Insomma, dobbiamo ridurre le emissioni di anidride carbonica sì o no?
«La CO2, pur non essendo inquinante, è un gas serra e quindi influenza il clima. Ma attenzione: anche pochi centesimi di euro sono denaro e influenzano la nostra ricchezza. Il punto è che la CO2 antropogenica, cioè prodotta dall’uomo, non ha sul clima quell’influenza squassante e conclamata che ci vorrebbe far credere l’Ipcc. La CO2 è una molecola indispensabile per la fotosintesi clorofilliana che fa vivere tutte le piante. Maggiore CO2 significa quindi più vegetazione rigogliosa, più raccolti, più cibo per uomini e animali.
(471. Continua)
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