Politica

Se è utile chiamiamoli fascisti

Da quando George Bush ha usato l'espressione «fascismo islamico» si è aperto un dibattito infiammato che rischia di confondere idee e concetti, piuttosto che chiarirli. Ma che è estremamente efficace sul piano pratico e polemico, perché forse è soltanto agitando lo spettro del fascismo che si può attirare l'attenzione su un «pericolo islamico» di cui il terrorismo è solo il vertice.
L'inventore dell'espressione, lo studioso americano «liberal» Paul Berman, ha ragione quando sostiene che l'estremismo islamico, come i fascismi europei del Novecento, è basato su una mitologia che da una parte vede «un popolo probo e giusto, dall'altra una cospirazione cosmica di nemici stranieri e forze interne che lo opprime. Imponendogli di scatenare una guerra di sterminio: una titanica lotta mitologica di liberazione». Altri elementi comuni sono il culto della morte e la volontà di tornare a un'età dell'oro che, per il fascismo nostrano, era l'impero, per il fanatismo islamico è il califfato del VII secolo.
Un'altra componente sembra apparentare i fascismi europei e il «fascismo islamico», ovvero la fede. Il fascismo italiano, come il nazismo tedesco, avevano abolito dalla politica le diversità e i confronti di vedute per sostituirli con una fede - che doveva essere cieca - nell'idea e nel capo: «Credere, obbedire, combattere», «Mussolini ha sempre ragione», il culto dei martiri e cerimonie laiche mutuate da quelle religiose, solo per fare qualche esempio. Ma si trattava di una fede nuova, in formazione e in trasformazione, quindi in qualche modo plasmabile e adattabile alle realtà contingenti; e il cui Dio era lo Stato, che è fatto dagli uomini, e che per sua natura doveva avere gli occhi rivolti al futuro, alla propria, inevitabile – anzi auspicabile – evoluzione, finché avesse permeato la totalità dei suoi cittadini e la totalità della loro vita. In quegli Stati la Chiesa, la religione, erano fenomeni da combattere – come fu per il nazismo – o avversari-alleati da tenere a distanza, da sfruttare ma da combattere sotterraneamente, come fu per il fascismo italiano.
Con questi presupposti, l'unico regime autenticamente fascista che si sia avuto nel mondo islamico è stato l'Irak di Saddam Hussein. Saddam instaurò il culto del capo e di una rivoluzione insieme nazionalista e socialista, militarizzò la società grazie al partito unico e attaccò Stati vicini, benché islamici, per puro spirito di espansione e conquista che con la religione non aveva niente a che fare.
Il fascismo islamico si differenzia dai fascismi quali li abbiamo conosciuti perché la sua fede non si identifica né in una politica né nello Stato, ma in una vera religione, antica quanto immutabile: è la religione che prevale sullo Stato, non viceversa. In questo senso, piuttosto che di fascismo sarebbe più corretto parlare di totalitarismo, perché una politica basata su una fede religiosa è già per definizione totalitaria: avvolgente ogni sfera della vita pubblica e privata nonché certa che l'avversario interno o interno sia, tout-court, il Male: da estirpare, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo.
Il Male, per questo tipo di fanatismo-totalitarismo, è prima di tutto quello interno, tant'è che gli estremisti islamici hanno già sterminato decine di milioni di loro correligionari - giudicati musulmani devianti o tiepidi – in numerosi Paesi dell'Asia e dell'Africa. «L'essenza del “fascismo-islamico” è insita nella negazione del diritto alla vita altrui, sia che si tratti di un “apostata” o un “eretico”, sia che sia considerato un nemico quale ebreo o crociato cristiano». Ho scritto questi concetti tante volte, ma solo un musulmano come Magdi Allam (il virgolettato è suo) poteva definirli con tanta chiarezza e in termini che, usati da un occidentale cristiano, sarebbero bollati di «politicamente scorretto», se non di fanatismo alla rovescia. Gli estremisti islamici si considerano detentori della verità e mirano a imporre il loro potere assoluto «finendo per delegittimare e condannare a morte tutti coloro che non sono a loro immagine e somiglianza e non si sottomettono al loro arbitrio. È questa l'essenza del “fascismo islamico”, che esiste da sempre, alimentato da una cultura dell'odio e della morte di cui gli stessi musulmani sono al contempo i carnefici e la gran parte delle vittime».
Rimane da definire il problema – tutt'altro che un dettaglio da storici o politologi – se il fascismo islamico sia anche un movimento di massa: un aspetto essenziale non tanto per poterlo accomunare al fascismo, quanto per poterne valutare la pericolosità reale. Paul Berman sostiene che l'Occidente non è ancora capace di mobilitarsi contro il fascismo islamico soprattutto per colpa di quell'«intellighenzia, soprattutto a sinistra, intenta a impugnare categorie socio-economiche per capire cosa c'è di razionale, congruo e persino ammirevole in questi movimenti». Infatti ancora l'altro ieri un intellettuale francese, Gilles Kepel, ha negato su la Repubblica l'esistenza di un fascismo islamico sostenendo che «i gruppi terroristici islamici sono il contrario di un movimento di massa», come appunto furono i fascismi europei. Lascio ancora la risposta, che condivido appieno, a Magdi Allam, il quale ha vissuto sotto il regime di Nasser in Egitto e che oggi è un bersaglio del terrorismo islamico, a causa delle sue idee: «Questo terrorismo è solo la punta dell'iceberg di un più ampio movimento ideologico, fondato sull'antiebraismo e l'antiamericanismo, inculcato sin dalla tenera età alle masse e che è diventato parte integrante della loro cultura e della loro fede. È vero che è una minoranza quella che pratica il terrorismo islamico, ma c'è una maggioranza di musulmani che condivide la loro ideologia fascista».
I fascisti, Mussolini per primo, si rivoltano nelle loro tombe, come gli storici del fascismo si rivoltano sulle loro scrivanie. Ma ben venga il concetto di fascismo islamico, se è utile – e lo è – a capire la gravità di un fenomeno, meglio e prima di quanto il secolo scorso si sia capita la pericolosità dei totalitarismi occidentali.
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