In un tema di un mio alunno di qualche anno fa, si leggeva questo pensiero: «Mio padre, quando vede che per il Telegiornale esce scritto Napoli, dice: Statevi tutti zitti, vediamo qualaltro guaio è successo. Papà dice che quando fanno vedere Napoli è solo per dirci qualche guaio».
Ciò che vale per la mia città, vale anche per la scuola italiana, e non riguarda solo la televisione ma tutti i mezzi dinformazione. Scuola vuol dire (sempre più): bullismo, uso del telefonino in classe, videoclip erotici, pedofilia, rivolte dei precari, fatiscenza edilizia, dispersione, suicidi di adolescenti, caro-libri, uso di stupefacenti durante lintervallo delle lezioni, violenza fisica (studenti che menano insegnanti, insegnanti che menano studenti, genitori che menano presidi) eccetera.
Naturale che andare a scuola non piaccia a nessuno. I ragazzi non riconoscono quel luogo come facente parte della loro realtà, anzi gli sembra che la scuola sia stata inventata dai genitori e dagli insegnanti per rubar loro del tempo prezioso. Qualche anno fa alla domanda: «Cosa pensi degli insegnanti e dellinsegnamento?» studenti toscani risposero: «I professori sono degli alienati tagliati fuori dal mondo reale», «Svolgono una professione con uno stipendio simbolico», «Il loro prestigio sociale è zero», «È un lavoro che logora la mente e le corde vocali».
Queste idee devono essere condivise da buona parte degli stessi docenti, almeno dai 30mila che sono fuggiti dalla scuola nel 2005.
Come non bastasse, una ricerca scientifica della Fondazione Iard rileva che «insegnare logora, i professori sono ad alto rischio». E il rischio si chiama: disturbi mentali, e (addirittura) cancro.
Tutti fuggono o vorrebbero fuggire da cattedre e banchi, dunque? Non proprio tutti. Cè chi ama questo mestiere nonostante la minaccia (sempre incombente) di un cazzotto sul naso da parte di un genitore di un alunno o dellalunno stesso, e la certezza di un magro stipendio. Tra questi, Carlo Ghezzi, sessantasettenne, da 33 anni maestro nella stessa scuola (la Muratori-Menotti, a Milano). Il suo è un esempio di «attaccamento al dovere» più unico che raro. Avendo raggiunto letà pensionistica, per legge deve lasciare i suoi bambini. Altri farebbero salti alla Joe Sentieri, ma lui è triste come Luigi Tenco. Perché? Perché i suoi alunni frequentano la IIª classe, e lui, come ogni maestro che si rispetti, vuole portarli fino in Vª. Dopodiché appenderà le scarpe al chiodo. Si dirà: tre anni a carico dei contribuenti? Nossignori. Il maestro è disposto a lavorare gratis, pur di non lasciare orfani del loro insegnante i bambini (che assieme ai genitori già piangono la sua «dipartita»), e si appella alla comprensione di chi puote ciò che vuole.
Ministro Fioroni, faccia una doppia buona azione: suggerisca al Professore di andare (al più presto) in pensione, e lasci dietro la cattedra questo maestro. I suoi scolari, vedrà, intoneranno a Natale una dolce canzoncina per lei.
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