Secondo l’esposto, il gioco del «piattino» del leader dell’Unione dal quale uscì il nome di Gradoli servì a coprire un informatore. Chiamato in causa anche Cossiga Denuncia in Procura: «Prodi agevolò le Br?» Quaranta parlamentari della Cdl denunc

Nessuno indagò a dispetto della collaborazione offerta al Sismi dagli 007 britannici

Claudia Passa

da Roma

Davanti alla Commissione Moro, Romano Prodi si dilungò nel surreale resoconto del «gioco del piattino» che suggerì a lui e agli altri professori riuniti a Zappolino di Bologna il nome di «Gradoli» come luogo di prigionia del leader Dc; davanti alla Commissione Mitrokhin, a 23 anni di distanza, non ha battuto ciglio: «Non c’è assolutamente nulla da aggiungere a quello che è stato detto (...); le dichiarazioni sono complete ed esaurienti». Ora, 27 anni dopo il sequestro e l’uccisione dello statista, dove non è arrivato il Parlamento potrebbe arrivare la Procura di Roma.
Dopo la «relazione Cordova» consegnata martedì a piazzale Clodio dal presidente Paolo Guzzanti, il capogruppo di An in Commissione Mitrokhin Enzo Fragalà ha infatti inviato al capo dell’ufficio giudiziario capitolino, Giovanni Ferrara, un esposto sottoscritto da 40 parlamentari della Cdl. Nel ripercorrere la vicenda, non senza un pizzico d’amara ironia, Fragalà e colleghi ricordano il giorno in cui «l’allegra combriccola di amiconi» si riunì a Zappolino di Bologna.
«Non avendo null’altro da fare - si legge nell’esposto - gli allegri compari si sarebbero dilettati nella evocazione degli spiriti dell’Oltretomba e, vivamente ricambiati, avrebbero ottenuto assai importanti rivelazioni circa il nome di Gradoli». Vi è «la certezza - sostengono gli onorevoli denuncianti - che qualcuno, tra i componenti di quel gruppo di asseriti spiritisti, ben doveva essere al corrente di circostanze di fondamentale rilevanza per la possibile liberazione dell’ostaggio».
Il riferimento è all’appunto redatto da Umberto Cavina, allora capo ufficio stampa della direzione Dc, che transitando al Viminale l’informazione «medianica» ricevuta da Prodi appuntò, accanto al nome «Gradoli», i numeri 96 e 11 che corrispondevano - guarda caso - al civico e all’interno del covo Br di via Gradoli «tralasciato» da una precedente perquisizione della polizia e abbandonato dai terroristi dopo il blitz nel paese di Gradoli seguito all’indicazione «spiritica» del Professore. A tal proposito, Guzzanti ricorda che «tutti i partecipanti al “gioco” abbiano parlato della presenza delle lettere dell’alfabeto: nessuno ha spiegato come abbia fatto il piattino a dare i numeri».
«Non sappiamo se Prodi conoscesse alcun terrorista», scrive Fragalà. «Sta di fatto che qualcuno in quel gruppo stava giocando una partita di alto livello. (...) Questo qualcuno o era il medesimo Prodi, o era un soggetto ben conosciuto da quest’ultimo e degno di massima fede, tanto da rendere necessaria l’attivazione immediata del Viminale. Tertium non datur». Di qui la denuncia, condivisa anche da Pierfrancesco Gamba (An), Lucio Malan (Fi), Piergiorgio Stiffoni (Lega). Ai pm i parlamentari chiedono accertamenti per capire «se dietro l’incredibile e pervicace atteggiamento di Prodi non vi sia stata in passato - e permanga ancor oggi - la necessità o la scelta di coprire uno o più soggetti responsabili di gravi fatti eversivi contro lo Stato»; e ancora «se la condotta di Prodi (...) non abbia agevolato il gravissimo atto terroristico delle Br ai danni di Moro, impedendone la liberazione e l’arresto dei responsabili».


A sorpresa, l’esposto chiede anche di valutare eventuali «profili di rilevanza penale in termini omissivi» a carico dell’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga. Non è escluso che la querela possa offrirgli l’occasione per presentarsi in Procura e riferire quel che da tempo - ha spesso lasciato intendere - gli ribolle in petto.

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