Le «seduzioni pericolose» di Palazzeschi

«Può fare bene oggi soffermarsi sulle provocazioni di questo irriverente funambolo della parola»

Pier Francesco Borgia

Per far tornare il pubblico a ridere di gusto a teatro c’è bisogno di appellarsi ai «pezzi forti» della nostra tradizione letteraria. Potrebbe essere questa l’idea che ha spinto Marina Malfatti e Simona Marchini a portare sulla scena un classico del Novecento come Le sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi.
Un’idea che ha trovato, poi, in Maurizio Nichetti un regista ideale, visto il suo background e le tante affinità che vanta con il grande scrittore toscano. «La poetica di Palazzeschi - racconta il regista - me la porto dietro dagli anni dell’università. Tanto che quando ho fatto la tesi di laurea sulle avanguardie del Novecento, la sua figura è una di quelle che ho sondato meglio. Del suo modo di vedere e di pensare condivido molte cose. Innanzitutto il saper ridere di se stessi e il suo non prendere mai troppo seriamente le cose che fa».
Lo spettacolo che debutta martedì sul palcoscenico del teatro Quirino porta la regia di Nichetti e sfrutta una riduzione del celebre romanzo firmata da Fabio Storelli. «Su quella riduzione - spiga Nichetti - sono intervenuto con alcuni adattamenti. Certo, però, non ho cambiato l’ambientazione. Era impossibile. Insieme con lo scenografo Pasquale Grossi abbiamo deciso di lasciare la cornice di una casa degli anni Trenta dove due anziane zitelle vivono del loro onesto lavoro di ricamatrici. Per il resto ci siamo limitati a richiamare gli arazzi di Depero in una cornice di linee essenziali che non tradiscono un naturalismo di base».
Lo spettacolo, come anche il romanzo, mette al centro della scena un personaggio tanto seducente quanto ambiguo rappresentato dal nipote delle due ricamatrici. Quel Renzo (interpretato da Massimiliano Davoli) che fa perdere la testa alle due zie sconvolgendo la loro quieta esistenza fatta di sogni innocenti e faticosi sacrifici.
«Nell’affrontare questo lavoro mi sono accorto - spiega Nichetti - che la figura di Remo è facilmente utilizzabile come metafora dei nostri tempi. Remo è, in buona sostanza, la personificazione della voglia di un futuro migliore. Una voglia alla quale ci attacchiamo disperatamente tanto più ci sentiamo in crisi. Per questo riascoltare le “corbellerie” di Palazzeschi può essere ancora salutare».
«Nei miei film e nel mio lavoro in teatro - aggiunge il regista - ho cercato sempre di agire come Palazzeschi che utilizzava l’ironia come grimaldello per scuotere il pubblico cercando sempre di conservare quella giusta dose di umiltà che ti fa ironizzare sulle cose che fai per non prenderle mai troppo sul serio».
Nichetti ama poi ricordare una celebre sentenza dell’autore del Codice di Perelà: «Le mie giornate passano rapidissime. Mi manca sempre il tempo di non far nulla».

«Questo sottolineare l’esigenza di uno spazio proprio da sperperare - spiega il regista - mi sembra un’indicazione preziosa in un tempo così frenetico come il nostro. Il tempo, la libertà di non far nulla ci è stato rapinato dall’invadenza dei media. Forse soffermarsi oggi sulle provocazioni assurde di questo irriverente funambolo della parola può fare bene».

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