Il segreto della salute? "Mangiare meno e meglio"

Il professor Luigi Fontana: "Oggi siamo in grado di capire i meccanismi molecolari per raggiungere il benessere"

Mangiare meno ma meglio fa bene alla salute. Oggi iniziamo a capire anche grazie a quali meccanismi molecolari tutto ciò avviene. Lo spiegano i risultati delle ricerche sugli effetti di una dieta che prevede una riduzione dell'apporto calorico fino al trenta per cento del normale regime dietetico in persone normopeso oggi per la prima volta pubblicati sulla prestigiosa rivista Science. Il professor Luigi Fontana, autorità indiscussa a livello internazionale su questi studi, ci spiega dal suo studio americano, dal quale fa la spola tra Roma e Saint Louis, perché il frutto di queste ricerche è strategico per un'efficace prevenzione di malattie connesse all'invecchiamento e quindi per il futuro delle politiche sanitarie in Occidente.
Che effetto ha avuto sull'uomo il regime dietetico proposto dalle vostre ricerche?
«Cinquanta individui che per sette anni si sono sottoposti a questo regime ipocalorico hanno dimostrato riduzioni significative dei maggiori fattori di rischio cardiovascolari, dalla pressione arteriosa all'insulinemia, dal colesterolo alla glicemia, dai marcatori d'infiammazione allo spessore intimale delle arterie carotidi, fino alla maggior parte dei fattori metabolici associati ad un aumentato rischio di cancro. Non abbiamo ancora, ovviamente, dati sulla sopravvivenza ma ci sono indicazioni nette sul funzionamento degli stessi meccanismi anche nell'uomo. Il cuore di queste persone, per esempio, è di 15 anni più giovane di quello delle persone della stessa età e sesso che seguono una tipica dieta occidentale. Inoltre, i nostri dati suggeriscono che il rischio di cancro sia fortemente ridotto».
Quindi?
«Ciò significa che queste persone hanno un rischio estremamente basso di sviluppare diabete mellito, infarto del miocardio, ictus cerebrale e scompenso cardiaco, tutte patologie responsabili del 40 percento delle cause di morti nei paesi occidentali, così come questi dati suggeriscono che il rischio di cancro in questi soggetti sia enormemente ridotto».
Questi sono i dati e le misurazioni tecniche dei parametri. Ma le persone come hanno reagito ad un cambiamento così drastico dello stile di vita?
«Si trattava di volontari fortemente motivati, appartenevano a classi sociali generalmente elevate ed istruite, capaci di comprendere le ragioni dello studio, tanto da sopportarne anche qualche effetto collaterale».
Per esempio?
«Una diminuzione della libido, per esempio, dovuta all'abbassamento dei livelli di testosterone causati dalla restrizione calorica ed una leggera ipotermia, cioè una tendenza a sentire maggiormente freddo».
Ma il fine ultimo di questi studi è una pillola che rallenta i meccanismi dell'invecchiamento?
«Molte delle persone che lavorano in questa direzione hanno questo obiettivo, ma non è sicuramente il fine principale delle mie ricerche».
E qual è invece il suo goal?
«Abbiamo posto le basi per capire i meccanismi metabolici e molecolari legati alle patologie dell'invecchiamento, per spiegare come la restrizione calorica possa modulare l'invecchiamento nell'uomo. Il mio obiettivo è soprattutto comprendere quel complesso mosaico di interazioni tra geni ed ormoni che determinano la salute nel tempo. Spiegare, per esempio, perché mangiare frutta e verdura fa bene, ma farlo sulla base di conoscenze molecolari, in modo da prescrivere un'alimentazione mirata in base allo studio del metabolismo individuale e non sulla base di assunzioni generiche basate esclusivamente su evidenze epidemiologiche».
Dunque niente pillole?
«Le medicine hanno senso nel contesto delle conoscenze. Si studia innanzitutto per capire e la posta in gioco di questa comprensione oggi è molto alta».
In che senso?
«Nel senso che oggi solo un sistema di conoscenze di questo tipo può affrontare le sfide dei sistemi sanitari occidentali.

Nei paesi sviluppati infatti l'introito calorico, associato ad una vita sempre più sedentaria, sta causando un'epidemia di sovrappeso ed obesità ed il trend della mortalità sta andando in direzioni differenti: da una parte verso l'aumento del gap trentennale tra durata della vita e durata della vita sana, dall'altra verso una riduzione della speranza di vita, visto che le nuove generazioni iniziano a contrarre alcune patologie un tempo tipiche degli adulti, come il diabete, l'arteriosclerosi ed alcune forme tumorali, in giovane età».
GSJ

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