Segugi in posa per l’«artista-animalista»

Si intitola «L’arte animalier del Novecento italiano» la mostra che raccoglie i lavori di Lemmi e Cacciapuoti

Sullo sfondo di un cielo terso, beccacce in volo spaventate da un colpo di fucile. In primo piano un pointer in posa di ferma: orecchie tese, muscoli contratti, sguardo fisso a puntare la preda. Scene di caccia per esaltare il rapporto idilliaco tra uomo, natura, animali. A prima vista, una contraddizione. Eppure, le opere presenti al Museo del Corso fino al 27 maggio non offendono la nostra sensibilità, anzi in qualche modo l’accrescono in senso positivo rendendoci parte di un contesto che, con grande naturalezza e rigore filologico, descrive l’arte venatoria. Roberto Lemmi, illustratore della storica rivista di caccia Diana, lo scultore ceramista Guido Cacciapuoti e gli altri artisti che nel corso del ’900 hanno espresso al meglio il nuovo modo di proporre l’antico tema Animalier, sono vicini al mondo venatorio ma sono soprattutto eccezionali interpreti di atmosfere campestri che in linea con la corrente verista pongono in primo piano l'interesse per la natura e i suoi esseri viventi, ora finalmente protagonisti della scena pittorica non solo graficamente ma anche emozionalmente. Già alla metà dell'800 Federico Palizzi aveva scritto: «L’animale a qualunque specie esso appartiene, e anche appartenente alla sua stessa specie, possiede la sua individualità caratteristica, cioè forma, colore, indole speciale». E certamente possiedono anima e corpo i cani, gli uccelli, i cinghiali che la mostra L’arte animalier nel ’900 italiano. Pittori e scultori alla corte di Diana. Omaggio a Roberto Lemmi e Guido Cacciapuoti, propone in questi giorni; felicissimi esiti artistici che una descrizione anatomica minuziosa rende vivi e spontanei. Sapientemente ritratti nei loro atteggiamenti tipici, essi emozionano lo spettatore e mettono in risalto l’attento studio dal vivo dei loro artefici: «Vede, quest’ala è troppo lunga, il colore non è proprio così nella realtà», faceva notare Roberto Lemmi al suo editore Vallecchi.


L’amore per gli animali che portò Cecconi, Norfini, Lucchesi e gli altri artisti in mostra a dedicarsi con grande rispetto e serietà al genere venatorio e animalista, è lo stesso che nel 1915 spinse il grande maestro Guido Cacciapuoti a motivare le sue scelte iconografiche: «Nella vita di tutti i giorni gli uomini cercano un rifugio: io l’ho trovato nel silenzio degli animali e a questo mi affatico per renderlo espressione».
Fino al 27 maggio. Museo del Corso, via del Corso 320. Tutti i giorni 11-19. Lunedì chiuso. Ingresso libero.

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