Senti chi spia

E pensare che un paio d’anni fa, a Natale del 2009, a conquistarsi il podio dell’applicazione più scaricata per iPhone è stato il «Pallaudio», che trasformava il telefono in una macchina da effetti sonori. «Cara, sono al supermercato», e in sottofondo mandavi il rumore di casse e carrelli, mentre eri altrove a farti gli affari tuoi. Con quella e altre simili «app», l’iPhone prometteva di trasformarsi nel telefono più amato dai fedifraghi. Due ricercatori ieri hanno ieri hanno mandato in frantumi l’illusione.
Pete Warden e Alasdair Allan, entrambi britannici ed esperti smanettoni informatici, hanno svelato che il cellulare della Apple registra tutti i nostri spostamenti, grazie alle triangolazioni permesse dalle antenne telefoniche, e li conserva in un file che poi viene anche scaricato anche sul computer che, in genere, ogni proprietario di telefono usa come «base di comando» del melafonino.
In poche parole, sul telefono e sul pc a esso «sincronizzato», quello su cui magari conserviamo una copia della rubrica degli indirizzi, delle foto o dei brani musicali, si accumula un dettagliato tracciato di tutti i posti in cui siamo stati con l’iPhone acceso in tasca (e lo stesso accade con l’iPad, se ci infili una Sim telefonica). Che il telefono consenta la cosiddetta «geolocalizzazione» in realtà non è certo una novità. Ma l’esistenza di un file così delicato è un segreto che la casa di Cupertino si è ben guardata dal rivelare ai suoi clienti.
Da ieri mezzo mondo si arrovella sugli interrogativi suscitati da questa scoperta. Perché inserire una simile «spia elettronica» nel telefono? E, se anche si trattasse di una semplice funzione che ha lo scopo di facilitare i servizi in mobilità, perché non comunicarlo con chiarezza ai clienti?
Nel contratto di licenza del programma iTunes, indispensabile per gestire il telefono, qualche traccia c’è, ma è affogata in un testo lungo 16mila parole, mentre è evidente che minacce alla privacy di questo calibro andrebbero evidenziate con cura all’utente. Nel testo si legge che «Apple e i suoi partner e licenziatari possono raccogliere, utilizzare e condividere dati precisi sul luogo, inclusa la posizione geografica in tempo reale, del computer o dispositivo Apple». Dati che, spiega Apple, sarebbero raccolti in forma anonima solo per «migliorare l’offerta di servizi e prodotti basati sulla geolocalizzazione». Leggi applicazioni ed eventuali pubblicità personalizzate.
Ma quanto è seria la minaccia? Il file segreto scoperto dai due ricercatori in realtà non verrebbe comunicato alla casa madre, ma resterebbe visibile sugli apparecchi del proprietario. Il problema è che chiunque, dotandosi di un’altra «app» facilmente reperibile, potrebbe vedere i dati associati a una mappa: in sostanza, ricostruire ogni spostamento giorno per giorno. Da strumento ideale dei traditori a macchina della verità portatile per partner gelosi. Con tanti saluti al Pallaudio.
Al momento da Cupertino non è arrivata alcuna spiegazione. Forse contando sullo scarso contaccolpo tecnologico subito dal grosso degli utenti quando si tratta di violazioni della privacy molto tecnologiche. Le molte accuse a Google e Microsoft non impediscono a milioni di persone di usare i rispettivi software e siti. Ma il solo iPhone è già in tasca a oltre 100 milioni di persone nel mondo. E a muoversi saranno le autorità.

Il governo tedesco ha già chiesto spiegazioni ad Apple. In Italia l’associazione Adoc ha chiesto l’intervento del Garante della Privacy. Stavolta l’ipnotizzatore Steve Jobs rischia quantomeno un’inchiesta pari a quelle che hanno portato a multare altre aziende hi tech.

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