Senza tessere non c’è partito

Ogni giorno una nuova. Ora è il turno del partito senza iscritti, il nuovo Santo Graal della politica italiana. Gli officianti di questa nuova liturgia salvifica oltre a Walter Veltroni sono un gruppo di opinionisti che da almeno 30 anni ci spiegano dove va il mondo e puntualmente sbagliano. A cominciare dall'intelligentissimo Giuliano Ferrara, noto provocatore di dibattiti politici e culturali sotto il segno dell'anomalia o, se volete, dell'originalità. Se Ferrara ha però il senso dell'ironia e spesso la saggezza di non prendersi sul serio, altri come Eugenio Scalfari spiegano con atteggiamento evangelico la buona novella. La cancellazione degli iscritti nel Partito democratico segna a giudizio di Scalfari la fine dei modelli di partito del Novecento e apre le porte al nuovo che avanza. Questo gruppo di opinionisti altro non sa annunciare che un partito «nuovo», una politica «nuova», volti «nuovi» e via di questo passo. In verità di nuovo c'è poco o niente. A cominciare dallo stesso Veltroni che è deputato dal 1987 e prima ancora era già nella direzione nazionale del vecchio Partito comunista. Il termine «nuovo» dunque sembra essere solo una parola che nasconde però una tentazione antica quanto il mondo, e cioè il governo delle «élite». Quelle economico-finanziarie e quelle burocratiche, quelle sindacali e quelle confindustriali, quelle dei poteri costituiti (magistratura, forze di polizia etc.) e quelle dei grandi organi di informazione. Insomma quell'establishment che conta e che già nel '94, dopo aver attivato tangentopoli, tentò la scalata al potere con la gioiosa macchina da guerra di Occhetto ma fu battuta dall'arrivo di Silvio Berlusconi. Quelle forze hanno impiegato 15 anni per giungere al punto di oggi e cioè all'approdo non solo di una democrazia leaderistica ma ad un modello in cui il leader è figlio ubbidiente di alcuni centri di potere e dove i gruppi dirigenti vengono spazzati via dal rapporto diretto tra il leader di turno e la «gente». Ma dove si discuterà di politica? In una assemblea numerosa, naturalmente, come quella della costituente democratica chiusa poi con alcuni «editti» organizzativi di Walter Veltroni, il nuovo traghettatore verso un sistema politico autoritario. E quando e dove si selezioneranno idee e energie se i luoghi della politica saranno sempre e solo le piazze e i palazzetti dello sport o altri contenitori simili? Non ci sarà più selezione ma solo cooptazione contrabbandata mediaticamente come il governo dei migliori. Più che il rapporto con il territorio e con i tanti segmenti organizzati della società civile, varranno le frequentazioni dei salotti buoni, delle banche d'affari o i crocevia dove si incontrano in un abbraccio mortale denaro, potere e informazione. Non ci sarà mai più qualcuno che si affaccerà dal balcone di Palazzo Venezia ma la velenosa cultura di Piazza Venezia assumerà altre forme più sofisticate ma altrettanto soffocanti. Neanche Silvio Berlusconi, pure accusato di aver introdotto il modello del partito personale (e nel '94 non poteva essere altrimenti) è mai giunto a teorizzare la cancellazione degli iscritti e l'appello giornaliero al popolo. Questa deriva peronista che sta emergendo nel Partito democratico c'entra molto poco anche con la cultura politica degli Usa dove vige una «democrazia lobbista» che nel suo intreccio finisce paradossalmente per garantire nella società un equilibrio democratico. Se dunque questo è il cammino del nuovo Partito democratico come potranno resistere da un lato i Marini e i Fioroni, i De Mita e le Bindi e dall'altro i Bersani e i D'Alema? I laudatores del nuovo corso veltroniano non si accorgono che in tutta Europa i leader veri nascono all'interno dei gruppi dirigenti selezionati darwinianamente con elezioni democratiche dentro e fuori dai partiti il cui patrimonio di iscritti resta una delle ricchezze di ciascuna forza politica. Il modello veltroniano, invece, sembra più appartenere ai Paesi colonizzati che non agli Stati sovrani e alle grandi democrazie europee.


Di qui, dunque, il rischio democratico che quel «panel» di opinionisti e dirigenti politici già sconfitti dalla storia stanno di nuovo facendo correre all'intero Paese. Alla lunga saranno sconfitti ma produrranno altre macerie nel silenzio complice di una cultura stanca e spesso conformista.
Geronimo

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