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Senza valore legale a contare sarà solo la qualità degli studi

Senza valore legale a contare sarà solo la qualità degli studi

di Stefano Zecchi

La prima osservazione è che abolire il valore legale della laurea non significa togliere il valore culturale alla laurea: anzi, lo aumenta. La seconda osservazione è che l’abolizione del valore legale della laurea non sarebbe purtroppo quel tocco di bacchetta magica che d’incanto conferirebbe qualità scientifica e didattica alle università, ma le aiuterebbe a perseguire questa strada.
Comprendo i timori di chi ritiene di essere privato di un titolo di studio dopo tanti sacrifici e investimenti economici. Sono timori infondati che andrebbero fugati con una buona informazione.
In sintesi, cosa comporta l’abolizione del valore legale della laurea? Significa che avrà più peso l’università in cui si acquisisce il titolo di studio rispetto al voto. Senza offesa per nessuno, ma solo per fare un esempio, un 110, preso in una facoltà di medicina della Lombardia, potrà valere di più dello stesso voto ottenuto in Sicilia. Ripeto e sottolineo: è soltanto un esempio per poter continuare a spiegarmi.
Su cosa si basa questa differenza di valore, pur essendo il voto di laurea sempre 110? Sul prestigio dell’università. Un prestigio non campato in aria, ma basato sulla qualità della ricerca che si riconosce, anche a livello internazionale, a quell’università. Ciò comporta che coloro che si laureeranno in medicina in una università lombarda, anche se non hanno preso 110 come il collega laureato in Sicilia, possiederà un titolo di studio meglio apprezzato per la sua assunzione, perché acquisito in una università che da ottime garanzie scientifiche.
Le università - è la seconda osservazione iniziale - dovranno finalmente entrare in competizione scientifica e didattica tra loro. Quei consigli di amministrazione degli atenei che oggi sonnecchiano, si daranno una sveglia per evitare di perdere iscritti e sparire, adeguando le proprie strutture di ricerca e l’offerta formativa, cercando di avere i docenti migliori, non i figli dei figli ecc. ecc.
Negli ultimi venti anni sono state sciaguratamente istituite troppe università «sotto casa», con biblioteche indecenti, con professori pendolari che pendolano più a casa loro che all’università. Università di serie B, C. Saranno queste sedi le prime a doversi misurare con la competizione di altri atenei e attrezzarsi per non estinguersi.
A loro volta, gli studenti perderanno la pessima abitudine di iscriversi nell’università sotto casa, perché, preso qui o là, il «pezzo di carta» non avrebbe più lo stesso valore, come accadeva prima. Con il vantaggio che, allontanarsi un po’ da casa per studiare, si fa un’esperienza molto formativa. Naturalmente sarà doveroso migliorare il diritto allo studio e adeguare alle necessità l’edilizia universitaria: pensionati per studenti e per docenti. C’è un modello ben collaudato in Germania. Basta copiarlo.


Da qualche giorno sono usciti i bandi dei concorsi di idoneità nazionale peri nuovi docenti: una buona riforma che rischia di non dare gli effetti sperati se le università non si impegneranno ad assicurarsi docenti migliori e non quelli che convengono per calcoli poco edificanti. L’abolizione del valore legale della laurea favorirebbe questa competizione: si è ancora in tempo per mettersi sulla strada giusta, non dimenticando di dare una corretta informazione ai giovani e alle loro famiglie.

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