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Servono 22 punti: yes, we can

Quaresma è la prova scientifica dell’esistenza di Dio. Su quel tiraccio da rugby direzione terzo anello, ho capito che saremmo usciti con le nostre gambe, io per primo, da San Siro. All’apparir del primo, vero Toro da mesi a questa parte io c’ero. Scaramanticamente e un po’ fantozzianamente agghindato (giaccone delle grandi occasioni, scarpe nuove, pantalone blu elegante, mutanda rossa, sigaretta solo nell’intervallo), ho violato la regola aurea fissata dopo lo 0-6 incassato un dì, sponda rossonera, e sono tornato allo stadio. Funzionò, pare. L’inguardabile squadraccia vista con la Reggina si è trasformata, e speriamo durino il carattere e la compattezza che servono per fuggire dai bassifondi.
Se il Toro è ancora troppo ingenuo sulle palle ferme e persino maldestro nelle praterie concesse dall’Inter in contropiede, la squadra finalmente ha una fisionomia. Sereni è stato strepitoso, Ogbonna maestoso come il baby dirimpettaio Santon, la disperata Maginot costruita a centrocampo ha retto un tempo senza soffrire troppo, Bianchi ha segnato nella prima - vera - palla giocabile, la squadra non si è sciolta come la neve milanese dopo il pareggio. Scintille di buon gioco alternate a palle lunghe a spazzare, qualche fraseggio interessante che poteva essere sfruttato meglio. Stica, direbbero a Oxford. Servono 22 punti. Diciamo 6 vittorie e qualche puntarello qua e là. Se la colonia granata ci assiste da lassù, yes we can. «Il Toro non è morto, il Toro è in trasferta», diceva .

Confermo.

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