Sesso, casa, lavoro, religione: così vivono da noi i figli di Allah

Un libro-inchiesta di Cristina Giudici sui musulmani in Italia

Sesso, casa, lavoro, religione: così vivono da noi i figli di Allah

La meta di L’Italia di Allah. Storie di musulmani fra autoesclusione e desiderio di integrazione (Bruno Mondadori, pagg. 138, euro 10,50) come dice la stessa autrice, la giornalista Cristina Giudici, è «addentrarsi nei tabù del multiculturalismo, che tanti danni hanno fatto, si veda l’Olanda, e stemperarne le inevitabili stigmatizzazioni, buoni a cattivi, moderati e fondamentalisti, fautori dell’integrazione e sostenitori del jihad». Il libro è un viaggio dentro le comunità musulmane in Italia, per un racconto dall’interno pensato insieme a Giuliano Ferrara e pubblicato in prima battuta in sette puntate sul quotidiano Il Foglio. Poligamia, vita in famiglia, educazione double-face dei giovani musulmani, in classi occidentali al mattino e in scuole arabe di Corano al pomeriggio, un coraggioso identikit dei turchi d’Italia, grazie al quale si apprende a distinguere turchi laici e arabi: queste alcune tappe del viaggio.
Un viaggio che ha cambiato anche la Giudici: «Da Radio Popolare alle inchieste sui musulmani per Il Foglio. Più di un collega, anche straniero, mi ha chiesto con tatto se, insomma, sono diventata neocon. La risposta è no, sono molto distante dalle posizioni della Fallaci. Tuttavia questo libro mi ha fatto riflettere profondamente. Diciamo che non condanno e non accetto. Problematizzo». Uno dei capitoli-inchiesta contenuti ne L’Italia di Allah ha vinto il premio «Maria Grazia Cutuli 2005» e non a caso: si può infatti dire che questo libro sia l’unico, insieme alle inchieste di Magdi Allam e ad un volume pubblicato di recente dalle Edizioni Paoline, L’Islam d’Italia, di Angela Lano, a raccogliere testimonianze così approfondite dall’interno della comunità musulmana italiana.
Nel volume le voci si rincorrono: giovani e anziani, uomini e donne, musulmani «medi» che «ruotano intorno ai centri culturali islamici o vivono appartati, rinchiusi dentro microcosmi familiari», hanno accettato di dire a chiare lettere come vedono la società italiana, come crescono i figli, come trattano le mogli e qual è stato l’impatto «dalla casa dell’islam (dar al islam) alla casa della migrazione (dar al higra) che oggi si è trasformata in terra del conflitto (dar al harb)».
Il conflitto è per noi italiani impercettibile, perché si svolge tutto all’interno della comunità musulmana, ma dilaniante: accettare o rigettare la società dei kuffar, gli empi, in una parola gli infedeli? Le risposte più vere e sofferte sono forse quelle degli adolescenti musulmani, divisi tra i principi religiosi e i lascivi desideri occidentali. Ragazzi e ragazze per cui il velo è solo un sintomo.

È il sesso il grande tabù, il peccato capitale che provoca pianti, insulti, fughe, i primi rifiuti di Allah. Ma è soprattutto l’amore il cruccio, il termometro che fa salire la febbre della diversità. Tanto da far aumentare i casi di tentato suicidio di ragazze musulmane che si innamorano di coetanei italiani.

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