da Milano
«Allora, quando vi fondete con Air France?» chiese a bruciapelo, durante un colloquio riservato, Maurizio Belpietro a Francesco Mengozzi. Era il 2002. Belpietro dirigeva il Giornale. Mengozzi era lamministratore delegato dellAlitalia e stava lavorando alla crisi provocata dall11 settembre. «Alla fine di un percorso» fu la risposta, volutamente un po evasiva. Ma il senso era chiaro: certus an, incertus quando - come si studiava al liceo. Ovvero: si farà, ma non si sa ancora bene in che tempi.
Mengozzi cercò di vendere il carrozzone pubblico, dopo che al suo predecessore, Domenico Cempella, sfuggì tra le dita la fusione con lolandese Klm. La grande, storica occasione mancata. Sarebbe nato il più grande vettore europeo e lintegrazione avrebbe dato un peso di due terzi ad Alitalia nella nuova società; contrasti sulle leve del comando e, soprattutto, la scarsa chiarezza governativa sul ruolo di Malpensa, fecero saltare laccordo che poi riuscì con successo ad Air France. Allora Alitalia, grazie alla cura Cempella, si stava risanando, mentre Jean Cyril Spinetta lavorava a maniche rimboccate per risistemare il suo gigante malato. Poi le parti si invertirono.
In termini di strategie di alleanze, Mengozzi fece sostanzialmente tre cose: aderì a SkyTeam, uno dei tre grandi gruppi globali, fondato e guidato da Air France; stipulò con Spinetta un accordo per la gestione comune dei «fasci» (il complesso delle rotte) Italia-Francia; concordò uno scambio azionario del 2% tra le due società. Erano i primi passi verso quella «fine del percorso» che avrebbe portato allintegrazione dei due vettori. Percorso che poi subì una serie di imprevisti, a cominciare dallaccordo tra Air France e Klm, che lasciò improvvisamente spiazzato il partner italiano, fino a quel momento convinto di essere il preferito. (Detto tra parentesi, i due accordi commerciali resistono ancora, mentre lo scambio azionario è sfumato: Alitalia alla fine del 2007 ha venduto la sua quota in Air France, per far cassa, mentre Air France ha visto vanificarsi le sue azioni nel momento in cui la società è stata commissariata).
Nelle gestioni successive, la processione dei manager verso Parigi per chiedere un intervento che salvasse Alitalia furono palesi; ma la risposta di Spinetta, cui faceva eco in maniera più acida Klm, fu a lungo sempre la stessa: «Tratteremo con Alitalia quando sarà risanata». Cioè, mai, dicevano i maligni.
Poi ci provò, per ben due volte, il governo Prodi, con due distinti bandi di gara: al primo Air France nemmeno si presentò, e il candidato arrivato a un soffio dalloperazione fu Air One, la seconda compagnia italiana, sostenuta finanziariamente da Intesa Sanpaolo. Al secondo Air France si fece avanti, in concorrenza - nuovamente - con Air One, e ottenne il diritto a trattare in via esclusiva. Ma Spinetta rientrò anzitempo a Parigi, ritirando la sua proposta: lo bloccarono lincontentabilità dei sindacati e la situazione anomala provocata dallimminenza delle elezioni. Intanto, nel tentativo di rallentare lemorragia di risorse, Alitalia aveva abbandonato Malpensa come hub.
Il resto è storia recente: il nuovo governo, la fine tessitura per realizzare una cordata italiana e, infine, la proposta di Cai e - nelle ultime ore - il via alloperazione. Lultima fase porta il nome di Berlusconi, che è riuscito in unimpresa nella quale nessuno, prima, ce laveva fatta. Non cera riuscito nemmeno lui stesso nel suo precedente governo; famosa la frase pronunciata nel febbraio del 2004: «Per fortuna di Alitalia cè il signor Silvio Berlusconi che impiegherà tutto il suo talento per risolvere un problema che altri non hanno saputo risolvere».
Confrontiamo le procedure degli ultimi due governi: ha vinto il pragmatismo. I bandi lanciati da Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa ebbero il difetto di voler essere esaustivi, di prevedere ogni dettaglio, di porre troppi paletti. Anche il secondo, pur semplificato, non rendeva appetibile unoperazione rischiosa, gravata da oltre un miliardo di debiti che lacquirente doveva accollarsi. LAlitalia veniva venduta così comera, nel suo stato precario.
Berlusconi si è comportato da imprenditore.
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