Caserta - Stanislao Cantelli, 60 anni, non era un affiliato al clan dei casalesi ma ieri mattina è stato ucciso come un camorrista. Due sicari, intorno alle 9, sono entrati nel «Circolo sociale ricreativo», nel centro di Casal di Principe, dove Cantelli, incensurato, da poco in pensione, stava giocando a carte. Neppure il tempo di guardarsi le spalle, che le pistole impugnate da almeno due killer lo hanno ucciso all'istante. Quattordici proiettili calibro 9 per 21 per massacrare un uomo inerme. Ma la vittima era un «simbolo» la cui morte adesso dovrebbe costituire un esempio per chiunque avesse ancora intenzione di schierarsi contro la cosca dei casalesi. Infatti Cantelli, incensurato (ma comunque gli investigatori stanno scandagliando nel suo passato), era lo zio di due collaboratori di giustizia, i fratelli Luigi e Alfonso e il fratello di Mario, cognato del boss Francesco Bidognetti, detto «Cicciotto ’e mezzanotte», da tempo caduto in disgrazia, sopraffatto dalla detenzione. Con il fiume di dichiarazioni rese ai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Luigi Diana ha consentito all'alba dello scorso 30 settembre una retata di presunti camorristi: ben 107. Tra questi vi era anche la moglie del boss Francesco Schiavone, detto «Sandokan», ancora potente nonostante una detenzione che dura da 10 anni. Alcuni testimoni hanno assistito alla spietata esecuzione di Cantelli ma quando sono arrivati gli agenti della squadra mobile, con il vice questore Rodolfo Reperti, carabinieri e militari, nessuno ha dato una mano agli investigatori.
Dietro all’agguato c’è il sospetto che ad agire siano stati ancora una volta i killer di Giuseppe Setola, il boss che ha preso il posto di Bidognetti, presunto mandante della strage di Castelvolturno, 6 morti in una sartoria il 18 settembre scorso quando fu ucciso anche il gestore di una sala giochi. «Era un simbolo, come lo erano Orsi e Noviello, uccisi nei mesi scorsi» dice un carabiniere a proposito di Cantelli. Ma i quattordici colpi sparati per ucciderlo rappresentano anche uno schiaffo allo Stato, sceso finalmente in guerra contro la cosca casalese. Infatti, dal giorno dopo la strage di Castelvolturno, fino ad oggi, il Governo ha inviato 400 uomini e donne, tra poliziotti, carabinieri e finanzieri e 500 soldati, i parà della Folgore. Una spedizione che nella lotta alla camorra non ha precedenti. Eppure, nonostante la blindatura delle zone ritenute a rischio del Casertano, i 115 arresti eseguiti nel giro di 12 giorni e, tra questi anche i 4 presunti killer della strage del 18 settembre, la camorra casalese continua ad uccidere i testimoni, i parenti dei pentiti, persino il dipendente di un imprenditore che aveva testimoniato 14 anni prima contro la cosca di Sandokan. Una prova di forza, un altro atto di quella che i pm della Dda definiscono la «strategia stragista» dei casalesi e che il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, chiama la «guerra civile», tra lo Stato e la camorra.
Luigi Diana con le sue dichiarazioni ha riempito decine delle 625 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare, consegnata all'alba del 30 settembre scorso a 107 presunti affiliati alla cosca dei casalesi.
Diana - e in parte anche il fratello Alfonso, entrambi pentitisi nel 2005 - ha raccontato ai pm della Dda in che modo 21 anni fa fu fondato il gruppo capeggiato da Francesco Bidognetti, a sua volta affiliato alla «casa madre», guidata da Schiavone. Il collaboratore ha fatto chiarezza su decine di omicidi, rivelato i nomi degli affiliati, gli stipendi versati mensilmente ad ogni camorrista, le strategie della cosca.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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