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La sfida dei trentuno

La sfida dei trentuno

Sono ben 31 i partiti che si disputano oggi il consenso di 4-5 milioni di israeliani aventi diritto di voto. Ma solo 7 riusciranno probabilmente ad oltrepassare lo sbarramento del 2 per cento del totale degli effettivi votanti, dato che per la maggior parte si tratta di liste formate da gruppi di pressione privi di visione politica, come il Partito dei pensionati o quello per la legalizzazione della marijuana. Per eleggere un deputato ci vuole, in base a complicati conti, una cifra determinata di voti (attorno a 25mila schede). I voti in più che consentono di eleggere un deputato vengono attribuiti in proporzione al numero dei seggi ottenuti da ciascun partito. Il che favorisce i partiti più grandi. Questi sono essenzialmente quattro. In testa c'è Kadima, fondato da Sharon. Lo guida Ehud Olmert, avvocato, 61 anni, sposato con un'attivista di sinistra, quattro figli, ex sindaco di Gerusalemme, più volte ministro del Likud. Promette di dare a Israele frontiere definitive, con uno Stato palestinese demilitarizzato, trasferendo circa 70mila coloni in blocchi di residenza ebraica, in Cisgiordania, dietro un muro di separazione che, con qualche modifica, dovrebbe diventare la frontiera d'Israele. Il partito Kadima, accusato dai suoi avversari di destra e di sinistra di essere un «ricettacolo di transfughi» (come il laburista Shimon Peres o l'ex Likud Zipi Livni, attuale ministro degli Esteri), è un partito socialmente poco credibile, in quanto sostenuto principalmente dalla ricca borghesia. È però impegnato a fondo nello sviluppo della principale ricchezza dello Stato: l'educazione, soprattutto quella universitaria.
I suoi più pericolosi avversari sono tre: il Partito laburista, guidato per la prima volta da un ebreo marocchino, sindacalista, sindaco della città di Ashdot (la più provata dai tiri di missili palestinesi), Amir Peretz. Cinquantotto anni, sposato, con quattro figli, ferito in guerra, prima di entrare in politica faceva il coltivatore di rose e di aglio in un villaggio cooperativo. Promette negoziati coi palestinesi entro l'anno, l'evacuazione delle terre occupate, salvo Gerusalemme, e un programma aggressivo di lotta sociale. Irriso per la sua limitata cultura e inesperienza politica, è il solo uomo nuovo della politica israeliana, dotato di carisma e di una fama di integrità personale assoluta in un mondo politicamente corrotto. Non esiterà, tuttavia, se necessario, a unirsi a Kadima, nonostante la sua avversione per Shimon Peres. È certo l'uomo del futuro.
Il secondo avversario pericoloso di Kadima è il Likud guidato da Bibi Netanyahu, che in queste elezioni si gioca il futuro politico e quello del partito della destra storica nazionalista. Paga il prezzo della dura politica economica da lui imposta al Paese come ministro dell’Economia di Sharon e, soprattutto, della delusione di molti sostenitori per un populismo che ha rivelato la sua mancanza di carattere ogni volta che è stato messo alla prova sul piano internazionale o partitico.
Il vero successore di Netanyahu nella destra laica nazionalista e terzo avversario pericoloso di Kadima, è il suo ex socio in un fallito affare di vendita di mobili, Avigdor Liberman. Nato in Moldavia nel 1958, sposato, con tre figli, emigrato in Israele nel 1978, fallito studente di ingegneria e ex buttafuori, prima di diventare ministro delle Infrastrutture nel primo governo Sharon e poi brevemente dei Trasporti, Liberman attira molti immigranti russi e non pochi israeliani per le sue posizioni autoritarie e per la sua politica verso gli arabi israeliani. Propone di cedere le zone abitate da questi ultimi allo Stato palestinese in cambio dell’inclusione ad Israele dei grossi blocchi di colonizzazione ebraica in Cisgiordania.

Questo pone il milione e 200mila arabi israeliani - considerato da molti come il maggiore potenziale pericolo politico e demografico dello Stato ebraico - di fronte a una scelta di lealtà fra lo Stato palestinese, di cui si considerano parte idealmente integrale, e lo Stato israeliano, da cui si considerano oppressi ma che l'83 per cento di loro non vuole abbandonare per i benefici e i privilegi democratici che gli assicura.

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