Se siano soltanto rodomontate, nutrite essenzialmente dal desiderio non meno che dalla necessità di tenere corte le briglie di un'opinione pubblica effervescente e riottosa (almeno quella politicamente più motivata, ovvero di sentimenti islamici più accesi) non sappiamo. Certo è che il "crescendo" di tensione fra Turchia e Israele, originato dalle mancate scuse di Tel Aviv per il sanguinoso assalto alla Freedom Flotilla del maggio 2010, sta facendo fare un figurone al primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Dal palcoscenico turco, da dove il suo sguardo corrucciato si spinge fino ai punti più remoti dell'universo musulmano, il "tenore" Erdogan le va cantando sempre più chiare a «quelli di Tel Aviv», suscitando un coro di consensi in casa e nella tifoseria araba.
Di ieri, nella politica degli annunci che va intorbidando le acque dei rapporti fra i due Paesi è la minaccia di sospendere «totalmente» i rapporti militari e commerciali con lo Stato ebraico. E non finisce qui, lascia intendere Erdogan. Tanto per cominciare verranno potenziati i pattugliamenti navali nella zona orientale del Mediterraneo, mentre una visita a Gaza dello stesso premier turco, che in questo senso conta di abboccarsi con le autorità egiziane, non è affatto esclusa.
A far scivolare così in basso i rapporti tra Turchia e Israele è stato come si è detto l'incidente della "Mavi Marmara", la nave che nel maggio 2010 cercò di forzare il blocco navale a Gaza imposto dallo Stato ebraico. Dopo il rifiuto israeliano di offrire scuse formali per l'uccisione di nove passeggeri turchi durante l'abbordaggio della nave, Erdogan ha ordinato nei giorni scorsi l'espulsione dell'ambasciatore di Israele. Da lì, un progressivo innalzamento della "temperatura" nelle relazioni bilaterali. Accordi commerciali impiombati, voci sempre più insistenti di vendite di armi agli storici "nemici" greci, in spregio a quella che sembrava ormai una sperimentata liaison industrial-militare fra Ankara e Tel Aviv, fino al vicendevole scambio di scortesie in aeroporto nei confronti dei passeggeri appartenenti all'una o all'altra nazionalità.
Erdogan? «Un antisemita classico», spara dalla sua prima pagina il quotidiano filo governativo israeliano Israel ha-Yom (a dispetto del profilo bassissimo tenuto dal governo Netanyahu, al quale questa escalation piace pochissimo). «Erdogan ha deciso di conquistare un posto di prima fila nel mondo arabo a spese degli ebrei: antisemitismo classico», sostiene il commentatore Dan Margalit. Il Medio Oriente, aggiunge, «é in preda a un attacco psicotico legato alla malattia mentale dell'antisemitismo, una malattia cronica incurabile». Il fatto è che «Erdogan guarda verso il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, e la stampa egiziana guarda con interesse verso l'iraniano e verso il turco; e la malattia si nutre di nuova energia e di un odio viscerale».
L'annuncio dell'espulsione, nei giorni scorsi, dell'ambasciatore israeliano, era stato dato dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, testa pensante del partito islamico moderato Ak del premier Recep Tayyip Erdogan. Davutoglu è il tessitore della nuova politica estera della Turchia, che punta a sfruttare la poderosa crescita economica del Paese facendone il perno del Medio Oriente e proiettandone l'influenza nell'Asia centrale turcofona, sganciando la Turchia da un'Europa riluttante ad accogliere Ankara nella Ue. Sicchè il raffreddamento dei legami della Turchia con Israele, fino alla quasi rottura di questi giorni, pare più sensato, se visto nell'ottica di questo new mood sempre più rivolto ad est.
Quanto ai rapporti commerciali fra i due Paesi, non c'è dubbio che a soffrire maggiormente dell'attuale malandare sia Israele. Lo ha detto senza giri di parole il governatore della Banca Centrale israeliana Stanley Fischer, secondo il quale di questo passo le perdite, per Israele, potrebbero essere «enormi». Enormi? Già, perché la Turchia, parole di Fischer, «diverrà una grande potenza economica. Sarà importante continuare ad esportare su questo mercato.
Non avere relazioni commerciali con la Turchia ci penalizzerà, perché questa nazione è la più importante (a livello economico) in tutta la regione, compresi i Paesi del Golfo». Basta guardare del resto le cifre degli scambi: nel 2010 hanno superato del 26% quelli del 2009. Ma ieri sera un portavoce di Erdogan ha precisato: romperemo solo gli accordi commerciali in materia di difesa. Per ora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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