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Sfide strumentali Il pianoforte di Allevi e Bollani ruba la scena alla chitarra orfana dei grandi solisti

Pianoforte batte chitarra. Non è una novità ma la tendenza dell’ultimo decennio. I nuovi solisti del pianoforte sono superstar. Tutti li cercano tutti li vogliono, scalano le classifiche, si contendono la Scala o il Bolshoi facendo pienoni da idoli del rock. Sono molto diversi l’uno dall’altro (spesso esaltati da taluni e aspramente criticati da altri e viceversa) ma fanno tendenza, anzi, sarebbe un sogno per tanti grandi del rock avere i numeri (dischi venduti, concerti e indotti vari tipo sigle di spot tv) di Giovanni Allevi, Stefano Bollani, Ludovico Einaudi, Cesare Picco ma anche dell’ex Area Patrizio Fariselli e del jazzman Danilo Rea. (In rigoroso ordine alfabetico perché, ora che sono strafamosi, manager e fan sono permalosissimi e contano le righe dedicate all’uno o all’altro). Se li chiamiamo Liszt moderni ai melomani verrà un coccolone; se li definiamo i nipotini di Keith Jarrett i puristi del jazz sono pronti a impallinare noi e alcuni di loro (e da qui ulteriori polemiche su chi è o non è jazz o classico). Ma al di là di tutto questi artisti hanno rubato la scena che la chitarra ha tenuto per decenni. Dagli anni 30 quando bluesmen come Charley Patton e Robert Johnson suonavano con uno stile inventivo e anarchico che ha influenzato legioni di rocker. Nel rock la chitarra era regina, inutile citare i nomi, ma anche nel jazz (da Django Reinhardt a Wes Montgomery) per poi esplodere nel jazz rock o nella musica acustica anni ’60-70, dai cantautori del Greenwich Village a quelli come Leo Kottke fino agli dei del metallo pesante.

E poi? Un gran vuoto in cui Einaudi & Co hanno abbattuto l’immagine del pianista sussiegoso e arroccato sulla sua torre d’avorio per portarlo in mezzo alla gente. Altro che non sparate sul pianista. Questi il pubblico li adora.

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