SHAFAK«Io e il tabù armeno»

Parla la scrittrice incriminata e assolta per il romanzo che affronta il genocidio del 1915

Per lei l’incubo è finito. Elif Shafak, 35 anni, scrittrice turca di successo, lo scorso 21 settembre è stata dichiarata innocente dal tribunale penale di Istanbul, dopo aver rischiato tre anni di prigione. La sua unica colpa era il suo romanzo Baba ve Piç (in inglese The bastard of Istanbul ndr), che da mesi è in testa alle classifiche, ma che parla del genocidio armeno del 1915, periodo in cui oltre un milione di armeni fu ucciso dai turchi. Una versione osteggiata dalle autorità di Ankara, che non hanno mai riconosciuto il massacro. In particolare, Elif Shafak è stata accusata di aver infranto l’articolo 301 del nuovo codice penale, che punisce «l’offesa all’identità nazionale» e che rappresenta uno degli ostacoli all’ingresso della Turchia in Unione Europea. L’anno scorso, per lo stesso motivo, era finito sotto processo un altro scrittore, Orhan Pamuk, candidato al premio Nobel, che aveva parlato del genocidio armeno durante un’intervista rilasciata a un magazine svizzero. La vicenda umana di Elif ha coinvolto il mondo politico e culturale non solo turco, ma anche americano ed europeo. L’attesa del processo, infatti, è coincisa con quella della sua prima figlia, Serahzat Zelda, nata la domenica prima dell’udienza. A pochi giorni dall’assoluzione, la scrittrice racconta al Giornale la sua esperienza.
Elif Shafak, cominciamo dalla fine. Come si sente adesso che è stata assolta?
«Si rinasce. Ma non posso dimenticare la tensione e il dolore in attesa del processo. In un periodo che doveva essere il più bello della mia vita, visto che aspettavo il mio primo figlio».
Lei ha scritto un romanzo ambientato ai tempi del genocidio armeno, un argomento che nel suo Paese, spesso, è ancora tabù. I nazionalisti hanno attaccato alcune frasi pronunciate dai personaggi. Erano così offensive?
«Assolutamente no e poi facevano parte della finzione letteraria. Nel mio romanzo, Baba ve Piç, ho solo parlato delle vite parallele di due famiglie. La prima, turca e musulmana, vive a Istanbul, la seconda, armena, a San Francisco. Il destino, che le ha divise ai tempi del genocidio, le farà rincontrare decenni dopo, grazie soprattutto a due donne, che sono i personaggi chiave della storia».
Si aspettava di essere incriminata per aver offeso il suo Paese?
«No, per nulla. Sapevo che nel nuovo codice penale c’è l'articolo 301 e ricordo bene che cosa è successo a Orhan Pamuk lo scorso anno. Ma il mio caso era diverso. Mi hanno messo sotto accusa per aver scritto una storia di pura invenzione. Non ci volevo credere, anche per come si è svolta la vicenda giudiziaria».
Si sente di raccontarlo?
«Il mio libro è uscito prima negli Stati Uniti. A marzo è stato pubblicato anche in Turchia dove ha avuto un successo strepitoso, vendendo oltre 60mila copie in tre mesi. Questo ha dato fastidio a un gruppo di avvocati nazionalisti, in particolare a Kemal Kerincsiz, lo stesso che ha fatto incriminare Orhan Pamuk. Io e il mio editore fummo interrogati dal giudice, che ci lasciò andare, dicendoci che per lui il caso era chiuso e non si doveva procedere. Poi, poche settimane dopo, mi comunicarono che il 21 settembre ero attesa al tribunale di Beyoglu per la prima udienza del processo. Kerincsiz si era rivolto a una corte superiore ed era riuscito a far riaprire il caso. Mi è caduto il mondo addosso. Io e mio marito abbiamo cercato di spostare la data perché coincideva con quella prevista per il parto. Ma ce lo hanno negato».
L’articolo 301 punisce la cosiddetta «offesa all’identità turca». Si rischiano da sei mesi a tre anni di prigione. Bruxelles ha chiesto più volte di abolirlo, anche in vista dell’ingresso della Turchia in Unione Europea, perché considerato una grave limitazione alla libertà di pensiero. Eppure il governo non ha ancora fatto nulla. Come mai secondo lei?
«Penso che molte persone nel governo siano in serio imbarazzo per questo motivo. Credo che adesso sia arrivato il momento di prendere coraggio e avviare una discussione parlamentare. Il problema è che l’articolo 301 si presta a troppe interpretazioni errate, soprattutto da parte dei nazionalisti. Ora il premier Erdogan e il ministro degli Esteri Gül hanno dichiarato che è venuto il momento di discuterne. Vedremo».
Rimane il fatto che, indipendentemente dall’articolo 301, nel suo Paese parlare del genocidio armeno è molto difficile...
«È difficile anche per i turchi. Per come la vedo io, premesso che intorno all’argomento c'è ancora molta disinformazione, in questo momento possiamo individuare tre categorie. Chi, come i nazionalisti, nega che il genocidio sia avvenuto. Poi ci sono le persone che non si sentono toccate dal problema perché dicono che le responsabilità non sono della Turchia moderna, perché a quei tempi non esisteva ancora, ma dell’Impero Ottomano. E, infine, c’è chi guarda al proprio passato con senso di responsabilità ed è pronto a confrontarsi. Tutti e tre questi atteggiamenti sono presenti oggi nella società turca».
Secondo lei la Turchia è pronta per l’Europa?
«Il governo deve ancora fare dei passi enormi. Non ci sono dubbi. Ma vorrei che ogni tanto qualcuno mi chiedesse se l’Europa è pronta per la Turchia».
Posso immaginare la sua risposta...
«In realtà credo ci siano pregiudizi da entrambe le parti. Se in Turchia si sente parlare di nazionalismo, in Europa molte persone esprimono giudizi pesanti sul mio Paese, dettati da islamofobia e xenofobia. È un circolo vizioso che va spezzato. L’Europa deve cercare il dialogo con le forze democratiche e progressiste che ci sono in Turchia. Bisogna sfidare questa polarizzazione fra Oriente e Occidente, soprattutto in questo momento»..
L’Europa avrà anche dei pregiudizi, ma spesso sui media turchi compaiono sondaggi poco incoraggianti, come quello apparso sul settimanale Tempo prima dell’estate, da cui usciva il ritratto di un Paese sempre più conservatore.
«Negli ultimi dieci anni in Turchia sono cambiate molte cose. Il nazionalismo ha riguadagnato molto del terreno che aveva perso. E questo certamente mi preoccupa. Ma non credo sia un problema solo del mio Paese. Per noi, poi, l’ingresso in Unione Europea è un cambiamento epocale. Qualcuno può rimanere disorientato. In questa situazione è facile che fanatismo e nazionalismo trovino terreno fertile. Ma sono profondamente convinta che la tradizione laica e democratica della Turchia abbia radici più profonde».
Lei è stata assolta. Il processo contro Orhan Pamuk fu rinviato sine die dal Ministro della Giustizia Cemil Çiçek, quindi in pratica annullato. Il prossimo 5 ottobre Ipek Çalishlar sarà processata e rischia quattro anni e mezzo di carcere. Ha scritto una biografia su Latife Usakigil moglie di Atatürk ed è accusata di aver messo in cattiva luce niente meno che il Padre della Turchia moderna. Possibile che nel suo Paese non si possa dire nulla che vada contro la verità ufficiale?
«No, questo non è vero. C’è da dire che la prospettiva di ingresso nell’Unione Europea ha irrigidito alcune posizioni.

I nazionalisti hanno approfittato della situazione e hanno inasprito i toni del confronto, arrivando a una violenza inaudita. Ora praticano la politica del terrore e dell’intransigenza, ma sono sempre gli stessi e non rappresentano la maggioranza della popolazione turca. Questo è molto importante sottolinearlo».

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