MilanoIl re delle televisioni viene processato senza televisioni: dentro all’enorme garbuglio dei processi milanesi a Silvio Berlusconi c’è spazio anche per questo piccolo paradosso. Il presidente del Consiglio ha inaugurato la «strategia della presenza», la scelta di presentarsi in aula ogni lunedì, per dire la sua ai giudici che lo stanno giudicando: ma anche, e forse soprattutto, per parlare all’opinione pubblica, utilizzando la ribalta dei processi per affiancare e contrapporre le sue tesi a quelle della Procura. Ma - come già il 28 marzo - se oggi Berlusconi vorrà trovarsi di fronte a una telecamera dovrà andarsela a cercare fuori dal palazzo di giustizia: perché dentro, su decisione della Procura generale, i reporter dell’immagine non sono ammessi.
Il presidente del Consiglio oggi (salvo ribaltoni in extremis) sarà presente nella grande aula dove si celebra uno dei quattro processi in corso a Milano contro di lui: quello per la compravendita dei diritti dei film americani da trasmettere sulle reti Fininvest. Ma, telecamere o non telecamere, c’è da scommettere che Berlusconi farà sentire la sua voce. Parlerà in aula, dove sono comunque ammessi i cronisti della carta stampata, o fuori, nei corridoi, o all’esterno, insomma dovunque possibile. «Le accuse che mi sono mosse sono ridicole - si prepara a dire il premier, sulla falsariga di quanto spiegato ai “Promotori della libertà” del ministro Brambilla alcuni giorni orsono - per il semplice motivo che dal 1994, quando sono sceso in politica, ho smesso di occuparmi di quanto avveniva nella mia azienda». Ma c’è di più, vorrebbe spiegare Berlusconi al presidente del tribunale Edoardo d’Avossa: «Vengo accusato dalla Procura di essere il socio occulto di Frank Agrama, il grossista di diritti televisivi che vendeva a Mediaset i film Paramount. Se lo fossi sarei matto, perché è stato accertato che questo Agrama pagava delle tangenti a dei manager di Mediaset per convincerli a comprare i film della Paramount. Cioè io stesso, in quanto socio di Agrama, avrei dovuto versare stecche a dei manager infedeli dell’azienda che possiedo. Ma vi pare possibile? Perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere?».
Sullo sfondo, nello scenario che Berlusconi si prepara a descrivere nel corso dell’udienza o a margine della stessa, c’è l’«aggressione giudiziaria» di cui si ritiene oggetto, i numeri record sui procedimenti penali, le perquisizioni, i mandati di cattura chiesti e/o ottenuti a carico suo, della sua famiglia e del suo gruppo. Ma questi sono argomenti che si prestano ad essere agevolmente impiegati anche in altre sedi. La partita vera oggi Berlusconi si prepara a giocarla sulle accuse specifiche che gli vengono mosse in questo processo. È il processo dove gli viene mossa l’accusa che il Cavaliere ritiene più infamante, quella di avere sottratto fondi alla sua azienda per imboscarli su conti cifrati nascosti in un paradiso off-shore, i cui beneficiari erano lui stesso e i suoi due figli maggiori. Ad alimentare quei conti, secondo il pm Fabio De Pasquale, erano le «creste» fatte da Agrama sul prezzo dei film. Ma Berlusconi ribatte che «le stesse indagini dei pm hanno accertato senza ombra di dubbio che tutti i guadagni provenienti dall’attività commerciale di Agrama sono rimasti a lui», «l’accusa è totalmente falsa e i miei avvocati lo hanno provato», «c’è da chiedersi con quale coraggio la Procura di Milano abbia continuato a spendere per questa indagine decine di milioni dei contribuenti».
Insomma, quale che sarà la ribalta, il Cavaliere è oggi deciso a giocarsi lo show fino in fondo. In aula, intanto, i suoi legali dovranno affrontare un nodo non facile: la richiesta (ma in realtà si è trattato di un ordine) del giudice d’Avossa perché gli staff difensivi degli imputati riducano sensibilmente le liste dei loro testimoni. «Nella loro versione attuale queste liste testimoniali sono incompatibili con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo», aveva detto d’Avossa lo scorso 28 febbraio: modo elegante per dire che bisogna fare in fretta. «La Procura - avevano ribattuto Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali del premier - ha avuto sei anni di tempo per fare sfilare i suoi testi, adesso che tocca alle difese il tribunale si accorge che c’è una esigenza di fare in fretta. Questo non è accettabile, ci viene impedito di difenderci».
Questa mattina si scoprirà a quanti dei suoi settantotto testimoni e dei suoi cinque consulenti la difesa del Cavaliere sia disposta a rinunciare: sapendo già che se d’Avossa non riterrà che le sue indicazioni siano state sufficientemente seguite potrebbe intervenire d’autorità, sforbiciando a suo giudizio le liste testimoniali presentate dal Cavaliere.
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