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Sicurezza, petrolio e mercato: ecco l’affaire Libia

Dal Paese africano l’Italia ricava energia e vantaggi economici: ecco la strategia del governo. Il premier sa bene che fare accordi con Gheddafi conviene: sin dagli anni '30 il Belpaese coltiva interessi nell'area per garantirci le risorse necessarie

Sicurezza, petrolio e mercato: ecco l’affaire Libia

La Libia ha una importanza fondamentale per l’economia italiana e l’Italia ha una importanza fondamentale per la Libia. Basta vedere la carta geografica per renderci conto che senza un accordo serio con la Libia noi non possiamo controllare l’arrivo di immigrati clandestini alle nostre coste. Ma le vere ragioni per cui questa intesa è necessaria si chiamano petrolio e gas. La Libia ha riserve per 44 miliardi di barili di petrolio e equivalente in gas (6,5 miliardi di tonnellate), con una produzione di 1,9 milioni di barili al giorno di petrolio e equivalente in gas, cioè 100mila tonnellate all'anno. E l’Eni attualmente vi ricava circa 6 milioni di tonnellate di petrolio, un decimo del petrolio che produce nelle varie aree geografiche del mondo. Dal 2004 fra Libia e Italia è operativo un gasdotto dell’Eni lungo 550 chilometri che porta 8 miliardi di metri cubi di gas e dal 2011 arriverà a 11. Su un consumo annuo di 95 miliardi di metri cubi è il 12 per cento. Ma oltre a ciò l’Eni ha costruito in Libia degli impianti per la liquefazione del gas, che con navi metaniere viene trasportato nel Sud di Italia. E nella vicina Sicilia sorgeranno altri impianti portuali attrezzati per accoglierlo.

La vicinanza geografica rende molto conveniente per entrambe le parti la cooperazione nel petrolio (e il libico è anche di ottima qualità) e nel gas naturale. Così dal 2008, grazie alla svolta diplomatica attuata da Berlusconi, è stato siglato un accordo fra Italia e Libia e fra Eni e le autorità energetiche libiche, per cui le concessioni che l’Eni ha in Libia vengono automaticamente prorogate di 25 anni e si stabilisce un investimento di 28 miliardi di dollari, per dieci anni, per la esplorazione di nuovi giacimenti di petrolio e di gas. L’area di queste esplorazioni è sterminata, si tratta di 36mila km quadrati e la quota Eni è il 50%.
Sino al 2006 la Libia era compresa nell’elenco degli Stati canaglia, in quanto sospettata di favorire le attività terroristiche. E ciò comportava il blocco degli investimenti esteri in Libia. L’Italia si era adeguata a tale decisione della comunità internazionale, abrogata nel 2006 con una risoluzione delle Nazioni Unite, basata sull’impegno libico a un drastico mutamento di indirizzo. Ma nel frattempo queste sanzioni avevano comportato anche il blocco della valorizzazione delle sterminate riserve attuali e potenziali di petrolio e gas della Libia. E a pagare il costo di questa politica internazionale era stata soprattutto l’Italia, che è in Libia con l’Agip dagli Anni '30 e aveva scoperto il petrolio in Libia nel 1939, poco prima che l’Italia entrasse in guerra. Nel dopoguerra, le scoperte di petrolio dell’Agip furono sfruttate dagli americani, perché l’Italia, Paese vinto, aveva perso la colonia libica, ove pure vi era una massiccia presenza di lavoratori ed imprese italiani. Ma nel 1959 l’Eni, costituito con ciò che restava dell’Agip, fatte le scoperte di gas nella pianura padana, era sbarcato in Libia, ove era stato bene accolto dal re Idris.
Il colpo di Stato con cui il colonnello Gheddafi, dopo qualche anno, spodestò Idris, comportò l’esodo dei coloni italiani dalla Libia, ma non l’espulsione dell’Eni, che rimase il principale partner del governo libico nel campo dell’energia. Gheddafi e i suoi avevano per l’Italia un sentimento misto, di ammirazione e simpatia, basato sui rapporti economici e umani e di avversione per il ricordo di eccidi attuati dalle truppe di occupazione dall’epoca della conquista regia del 1911 e per gli espropri di terre appartenenti ai libici. Ma anche negli anni in cui la Libia era «rivoluzionaria» e Gheddafi, con «libretto verde», sosteneva una sua dottrina economica semi collettivista, i patti con l’Eni furono scrupolosamente rispettati. E nel frattempo i libici avevano imparato a guardare la televisione italiana e a tifare per le varie squadre di calcio. E i più abbienti venivano in Italia a fare shopping e a effettuare investimenti per lo Stato e per sé.
Berlusconi si è reso conto che, abrogate le sanzioni internazionali con la Libia, si dischiudevano ottime occasioni di collaborazione economica e finanziaria e che occorreva agire per tempo, per evitare che, anche questa volta, i frutti maggiori fossero degli altri, invece che nostri, come dettava e detta la logica economica. La carta libica per noi è fondamentale nella strategia energetica. E possiamo esportare in Libia, che ha bisogno di tutto, per pagare questo petrolio e gas.

E per i libici, che non sono più sul piede di guerra, l’Italia rimane, oggettivamente, il partner preferito.

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