La signora Georgette, languida rosa inglese

Più volte paragonata a Jane Austen o a Charles Dickens, altre volte denigrata come scrittrice leggera: la vicenda letteraria della Heyer, molto amata o molto ignorata

Il titolo del lungo articolo è «Georgette Heyer Is a Better Writer than You Think». L’anno è il 1969. La firma è di Antonia S.Byatt, autrice, oltre che della saga di Frederica Potter, del romanzo d’amore più amato da molte femmine di fine Novecento, Possessione. Piccola, magistrale apologia dello stile e dell’inventiva di Georgette Heyer, una delle più famose autrici di rosa di ambientazione storica, inventrice tra l’altro del “Regency Romance”, l’articolo in questione farebbe sussultare più d’uno fra coloro che a vedere in libreria volumi di autrici rosa di ieri, da Liala a Barbara Cartland, o di oggi, da Rosamunde Pilcher a Nora Roberts, si chiedono perché non siano stati ancora definitivamente confinati nelle edicole o nei supermercati.
Eppure l’inglesissima Georgette Heyer, scomparsa nel 1974 a 71 anni, è un caso letterario a parte, più volte assimilata a Jane Austen o a Charles Dickens per la precisione maniacale nella ricostruzione di ambienti, atmosfere e gergo del XIX secolo inglese: alla sua morte, la sua biblioteca constava di migliaia di volumi di storia e centinaia di taccuini di appunti, di una manciata delle centinaia di recensioni che la riguardavano e di un’unica lettera tra le migliaia ricevute dagli ammiratori, quella di una donna sopravvissuta alla prigionia politica in Romania rileggendo un suo romanzo. Ancora oggi, il mondo si divide anche tra chi ha letto, e riletto, tutti i cinquanta e più titoli della Heyer, 44 romance e 13 polizieschi, e chi non l’ha mai nemmeno sentita nominare. Negli anni Cinquanta e Sessanta, l’uscita di un suo nuovo titolo era un evento editoriale; negli anni Settanta tutti i suoi romanzi erano già stati tradotti in dieci lingue e piratati in altrettante; nei Paesi anglosassoni il suo è un nome da cruciverba e tra i suoi affezionati lettori non compare solo la Byatt, ma Anthony Burgess e Germaine Greer, tanto per citarne un paio, tutti entusiasti di farne pubbliche lodi senza timore di perdere la faccia letteraria.
Amori contrastati e matrimoni di convenienza, balli in maschera e duelli, scandali e rapimenti, intrighi e scambi di persona narrati nei romanzi della Heyer hanno avuto in Italia un editore storico, Mondadori, che negli anni Settanta ne pubblicò negli Oscar quasi tutti i titoli, superando il mezzo milione di copie vendute. Poi scomparvero dalle librerie, e dalle edicole, per fare la gioia dei bouquinistes e dei siti internet dedicati all’usato librario. Fino a quando Sperling&Kupfer ha recuperato i diritti e ha deciso di rieditare otto classici Heyer, al ritmo di due a bimestre. Da poco sono arrivati in libreria Matrimonio alla moda, che narra i maneggi della gentildonna in rovina Horatia Winwood per sposare il conte di Rule, e La carta vincente, in cui la fiera delle vanità della Londra del primo Ottocento si mette in mostra tra le mura di una casa da gioco privata.
Nata nel 1902 a Wimbledon, Londra, la Heyer ha condotto un’esistenza in parte singolare. La proverbiale privacy inglese fu per lei regola monastica: non è mai apparsa in pubblico, non ha mai concesso interviste e rispondeva alle lettere degli ammiratori solo quando riguardavano questioni di ambientazione storica. Ha scritto il suo primo romanzo, La falena nera, a soli diciassette anni, per intrattenere il fratello minore convalescente. Incoraggiata dal padre, insegnante del King's College, a pubblicare, ha un successo immediato, tanto che presto sceglie uno pseudonimo, Stella Martin, per tenersi lontano dai fastidi della fama. Tornerà a firmarsi Heyer dopo il matrimonio, avvenuto nel 1925 con un ingegnere minerario, Ronald Rougier.
Per tre anni fu l’unica donna bianca nel raggio di parecchie miglia in remote regioni del Tanganica e rischiò di morire sulla sedia di un dentista in Macedonia. Avventure cui si sottopose per seguire il marito e che mai utilizzò per le trame dei suoi libri. Mentre rivendicò, attraverso protagoniste attive, piene di humour, a volte manifestamente più intelligenti di “lui” (a volte, particolare del tutto de-genere, persino alte quanto “lui”), la possibilità di una superiorità femminile anche economica, sperimentata in prima persona: in un’epoca in cui le donne si sposavano per sbarcare il lunario e la Woolf rivendicava la stanza per sé, Georgette Heyer tenne a bada il vorace fisco inglese con i generosi anticipi del suo editore americano, salvò il marito per ben due volte dal fallimento con prime edizioni e ristampe e lo mantenne agli studi fino al 1959, anno in cui divenne avvocato. Lui ricambiò qualche anno più tardi, fornendole, in diretta dalle corti, validi spunti per i casi del sovrintendente Hannasyde e l’ispettore Hemingway, protagonisti delle crime stories della Heyer.
La peculiarità della produzione letteraria della Heyer è anche nella scelta del periodo in cui ha ambientato i suoi romance, la Reggenza, che prese il nome dal “Regency Bill” con cui nel gennaio del 1811 il Parlamento inglese nominava Giorgio, principe di Galles, primogenito di Giorgio III, reggente del regno. Aristocratici, e borghesi, vennero dominati dalla frivolezza come rito, da celebrarsi negli ippodromi, nei parchi, a Brighton o a Carlton House. Gran sacerdote, il dandy, squisito cerimoniere della religione del nulla: «Il protagonista dei romanzi di Georgette Heyer - scriveva Daria Galateria in un saggio del 1986 - è affetto da un definitivo languore.

Quintessenziale nella sua rarefatta eleganza, abominabilmente annoiato anche quando decide a caso di mostrarsi amabile, dedica alla toilette più tempo di qualsiasi donna... Decisamente, non è un macho. Non è il partner aggressivo, nerboruto e sciovinista dei “rosa di serie”». Roba da far leccare i baffi persino a Bridget Jones.

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