Strano modo di funzionare ha il sistema della comunicazione in Italia. Capita, per esempio, che una notizia sia diffusa da una testata scomoda o sgradita - nella fattispecie, questa - e allora diventi una non notizia, una quisquilia privata, meno di niente. E che dunque, per questa unica ragione, sia coperta da un silenzio impenetrabile. La notizia, pubblicata oltre due settimane fa, è la seguente: negli ultimi anni Giorgio Bocca si era avvicinato al cristianesimo fino a scegliere di sposarsi religiosamente. Con Silvia Giacomoni si era già sposato in Comune a metà degli anni ’70. Ma in tempi molto recenti, per imprimere un carattere nuovo alla loro unione, ha accettato di celebrare il sacramento del matrimonio. E dopo la morte, avvenuta il giorno di Natale, sono stati celebrati funerali religiosi. Entrambi questi fatti sono stati accompagnati dal silenzio. Viene in mente un versetto della seconda Elegia duinese di Rilke: «Tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile».
Per carità, nessuno paventa una conversione clamorosa. La folgorazione sulla via di Damasco. Bocca un’educazione religiosa dalla sua famiglia l’aveva ricevuta. Ma, come ha precisato lui stesso nell’ultima intervista concessa a Maria Pace Ottieri (La neve e il fuoco, libro + dvd di Feltrinelli) la sua famiglia «era più superstiziosa che religiosa».
In tempi recenti, la sua attenzione verso la religione si era fatta più insistente, come testimoniano numerose conversazioni pubbliche. Di tutto questo, però, nelle ampie commemorazioni che gli sono state dedicate, soprattutto dal suo giornale, non si è trovata traccia. Paginate sul presunto filoleghismo. Paragrafi sul cripto-berlusconismo. Sul rapporto con il cristianesimo nemmeno un rigo. Nessuno vuol fare di Bocca un baciapile: conservava il suo burbero massimalismo e la sua inclinazione a non andare troppo per il sottile, con quel linguaggio ruvido che era il marchio del piemontese montanaro. S’intende solo togliere dall’ombra una parte della biografia di uno dei più importanti e controversi giornalisti del Novecento. La definizione giusta dell’ultimo Bocca potrebbe essere «credente non devoto». Un credente che non pratica e non frequenta. Ma che è pieno di curiosità e riflette sulla morte e la fragilità dell’uomo.
Uno che preferisce il Vangelo alla Costituzione. Perché il Vangelo «mi sembra qualcosa di più commovente, più umano, più vero. È ciò di cui gli uomini hanno più bisogno», disse a una giornalista di Lettera 43 nell’aprile scorso. Questo divino è qualcosa che «vorrei che ci fosse». E poi: «Sono un po’ vigliacco, sono molto cattolico: la penitenza, la confessione». Chissà, magari da un prete di periferia. Eppure Bocca non capiva come un Dio «così potente non abbia mai trovato il tempo di manifestarsi». Insomma, era una persona complessa, a novant’anni ancora in cerca di risposte decisive. Ci sembra una vicenda affascinante ed emblematica di che cosa sia l’uomo nella sua essenza.
Nell’altra ancor più recente intervista, disse alla Ottieri: «Adesso che mia moglie è molto religiosa, vedo che essere religiosi è una cosa completamente diversa». Anche se lei fa di tutto per minimizzare, il cuore della vicenda è qui, nel rapporto tra marito e moglie. Silvia Giacomoni, nata a Genova, vissuta in Valtellina, approdata a Milano, incoraggiata al giornalismo «dal Bocca», ha seguito per Repubblica l’attività pastorale del cardinal Martini. È questo incontro a cambiarla, lei che è una mangiapreti. Legge la Bibbia. Frequenta la Facoltà teologica del Settentrione, dove incontra don Roberto Vignolo (il celebrante dei funerali). Si appassiona al Manzoni. Scrive La Nuova Bibbia Salani, parafrasi dell’Antico testamento rivolta a chi si tiene lontano dai testi sacri. Scrive libri su Matteo e la vita di Mosè. Una fede approfondita, che sa dar ragione di sé e coinvolge.
Giorgio Bocca e Silvia Giacomoni si sono sposati nella parrocchia di San Vittore al Corpo di Milano oltre un anno fa. Dopo dispensa della curia, il matrimonio è stato amministrato da don Vignolo nella casa dei coniugi, alla presenza dei figli e di pochi intimi.
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