Elezioni Amministrative 2010

Silvio al seggio di mamma Rosa: "Se molliamo arriva Di Pietro"

Berlusconi ha votato in mattinata a Milano, nel quartiere periferico di Lorenteggio: "È casa mia, venivo sempre con mia madre". Il saluto agli elettori: "Ghe pensi mi"

Silvio al seggio di mamma Rosa: "Se molliamo arriva Di Pietro"

Milano «Non molliamo. Anche perché se molliamo ci troviamo Di Pietro». Silvio Berlusconi conforta il capannello di fan che lo aspetta al seggio per invitarlo a «non mollare». Il presidente del Consiglio vota dove ha sempre votato, alla scuola Dante Alighieri di via Scrosati, poco lontano dal palazzo in cui viveva sua madre Rosa, che aveva scelto di continuare ad abitare in questo quartiere normale, né centro né periferia, gradevole e senza pretese. Arriva in tenuta da domenica assolata, niente cravatta, con la giacca e la camicia blu leggermente aperta. Un omaggio al ricordo della signora Bossi Berlusconi: «Questa è quasi casa mia, perché ha un senso storico: è dove venivo a votare con la mia mamma».
Buste esplosive e proiettili, unite alle dichiarazioni incendiarie, non aiutano a coltivare la serenità del silenzio prima del voto. «Il clima è quello che è stato creato da una campagna elettorale che sapete come si è sviluppata e quali siano stati i suoi argomenti». Le accuse di golpe e attentato alla Costituzione dopo il decreto per risolvere il caos delle liste elettorali, Di Pietro che torna a parlare di «tuffo nel regime», i continui richiami alla democrazia in pericolo alzano pericolosamente i toni dello scontro di un pur acceso confronto elettorale.
Arriva la domanda. Crede ancora che l’amore vinca sull’odio? Era lo slogan della manifestazione di Roma che ha portato in piazza il popolo del Pdl. Berlusconi è possibilista: «Spero che l’odio non prevalga sull’amore, sono sempre convinto che la positività sia il migliore atteggiamento dello spirito e che tutto debba andare in quella direzione». Una frase breve, tirata fuori a spizzichi e bocconi, perché il presidente del Consiglio è deciso a non attizzare nuove polemiche: «Non voglio fare commenti, sapete le leggi che ci sono».
Per evitare malintesi e accumuli di tensione, ha deciso a sorpresa di anticipare il momento del voto, è partito da Roma alle dieci e mezza del mattino ed è andato direttamente al seggio nel quartiere del Lorenteggio. Un voto veloce, meno di cinque minuti. Applausi e coretti lo aspettano all’uscita, ma oggi il leader del Pdl non si lascia gasare dall’entusiasmo, preferisce coltivare una paziente attesa. Anzi, ne approfitta per lanciare una frase che qualche giornalista perfidamente dietrologo ritiene indirizzata agli avversari, interni ed esterni alla maggioranza: «Andando in giro, si ha la sindrome del candidato».
La strana malattia di cui parla il premier è una specie di presbiopìa per cui gli oggetti vicini risultano sfocati e possono sembrare più grandi di quanto realmente siano. «Sapete - spiega -, siccome sei circondato sempre dalla tua gente, che ti stima, ti apprezza e ti ama, ti sembra che voti per te il cento per cento delle persone. Questa è la sindrome del candidato». Inutile aggiungere che lui crede di non esserne affetto: «Gli applausi li ricevo dappertutto».
Il capannello si allarga e comincia a dar fastidio agli elettori in fila per entrare al seggio. Berlusconi si sposta dietro la cancellata della scuola e si affaccia agitando un ramoscello d’ulivo, di quelli che ieri, Domenica delle Palme, benedicevano in tutte le chiese per ricordare l’ingresso di Gesù a Gerusalemme tra ali di folla festante. Ma come presidente, ha l’ulivo?, gli chiedono scherzando. Sorriso: «Sì, me l’hanno regalato».
Il capitolo più spinoso riguarda la Lega e le pretese di Umberto Bossi sul candidato sindaco di Milano. Si vota nel 2011 ma i leghisti si portano avanti approfittando del clima competitivo delle elezioni. Berlusconi spalanca le braccia con l’aria di chi pensa «ma come fate a credere ancora a queste cose?». Risponde: «Ma no, sono tutte cose pre-voto». Come dire che il Senatùr alza il tiro solo per evitare l’astensionismo, motivare i suoi e convincerli ad andare ai seggi, ma Milano resterà al Pdl. Prima di andare via lancia la promessa per i più preoccupati: «Ghe pensi mi».

Ci pensa lui.

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