Il sindacato è una casta. Ma la sinistra l’ha capito solo adesso

Il settimanale "L’Espresso" riscopre una delle battaglie storiche del "Giornale". E accusa: Cgil, Cisl e Uil sono una lobby di potere all’ombra dello Stato

Il sindacato è una casta. Ma la sinistra l’ha capito solo adesso

da Roma

C’è casta e casta. Di quella dei politici, ormai, si parla quotidianamente: dei loro privilegi e sprechi, dell’arroganza e intoccabilità. Ma su «L’altra casta», come la chiama L’Espresso di questa settimana, quella dei sindacalisti, la coltre del silenzio è perfino più spessa.
Il settimanale che ora dedica la copertina ai tre leader di Cgil-Cisl-Uil, lo scopre solo adesso. Quando sono state quasi ignorate inchieste de Il Giornale proprio sull’argomento. Inchieste scomode, evidentemente, almeno in quel momento. Ma ora che i sindacati intralciano il governo di centrosinistra, che si mettono per trasverso quando si parla di pensioni e welfare, la Triplice diventa un nemico da smascherare. E si punta l’indice contro il numero uno della rossa Cgil Guglielmo Epifani, contro quello dell’ex-bianca Cisl Raffaele Bonanni e dell’ex-socialista Uil Luigi Angeletti.
Un’inchiesta in primo piano, quella de L’Espresso, che parla di fatturati miliardari, di bilanci segreti, di uno sterminato patrimonio immobiliare, di organici colossali, con migliaia di dipendenti pagati dallo Stato. Insomma, di «una macchina di potere e di denaro, temuta perfino dai partiti».
Già, ma fino a qualche tempo fa solo da alcuni partiti e difesa a spada tratta dagli avversari della sinistra, che hanno usato storicamente il sindacato come un’arma. Ora, improvvisamente, ci si rende conto che attaccarlo non è tabù, soprattutto se non si critica quel che rappresenta in astratto, ma quel che è diventato. E cioè, troppo spesso, difesa non di tutti i lavoratori nell’interesse generale, ma potere economico che cura anche suoi propri e diffusi interessi.
Parlare non solo dei costi della politica, ma anche dei costi del sindacato, dunque, non è vietato. Soprattutto dopo duri scontri sindacali con il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, e altri esponenti del governo Prodi.
Meglio tardi che mai. Chi si arrabbierà, a sinistra, nel leggere dei centri di assistenza fiscale (Caf) e dei patronati diventati «business formidabili»? Chi protesterà se si scrive che anche i contributi Ue per la formazione arricchiscono Cgil, Cisl e Uil? Addirittura, si può ricordare, con scandalo, che nel 1990, i tre maggiori sindacati hanno ottenuto dal Parlamento una legge per licenziare i propri dipendenti senza rischiare il reintegro, malgrado lo Statuto dei lavoratori. E si cita il radicale Daniele Capezzone che nel 2002 parlava di un giro d’affari della Triplice di «3mila e 500 miliardi di vecchie lire», con un calcolo al ribasso. Oggi, l’amministratore della Cgil Lodovico Sgritta, conferma che il fatturato consolidato di Corso d’Italia ha raggiunto un miliardo di euro. E il sistema Uil, ben più limitato, nel 2004 arrivava a 116 milioni, esclusi Caf e patronati.
Niente di sorprendente visto che l’organico delle organizzazioni si aggira sui 20mila dipendenti (14mila solo la Cgil). Delle vere e proprie strutture-mostro. Ha 3mila sedi la Cgil e 5mila la Csil, tutte di proprietà e molte «regalate dallo Stato», scrive il settimanale. Che ha proprio deciso di fare i conti in tasca a quelli che Massimo D’Alema definiva in privato «i tre porcellini». La Cgil ha oltre 5.650 iscritti, tra attivi e pensionati che hanno pagato quote nel 2006 per 331 milioni. È questa la maggiore risorsa economica per i sindacati. Ma anche i Caf, con il ricco affare in monopolio delle dichiarazioni dei redditi, hanno uno «strapotere» basato su fiumi di denaro che arrivano da Inps, Fisco e dagli interessati. Poi ci sono gli «intoccabili» patronati, la forza lavoro gratuita distaccata dalla pubblica amministrazione, l’affare della formazione e il patrimonio immobiliare non ben precisato.
Ultima nota: con la tessera sindacale si fa carriera.

Dalla Cisl viene il presidente del Senato Franco Marini, dalla Cgil l’omologo di Montecitorio Fausto Bertinotti. E nel governo-Prodi, tra ministri, viceministri e sottosegretari, sono in molti ad aver un passato nella Triplice.

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