La sinistra mente: il proporzionale non truffa la piazza

Francesco Damato

Sempre più a corto di argomenti seri con i quali contrastare il tentativo della maggioranza di tornare al sistema proporzionale, corretto però dallo sbarramento e dal premio di maggioranza a tutela del bipolarismo e della governabilità, l'opposizione grida anche al «tradimento» del referendum elettorale del 1993. Che segnò il passaggio, perfezionato poi con una legge che assunse il nome del relatore Sergio Mattarella, da un sistema interamente proporzionale ad uno misto, per i tre quarti maggioritario e per un quarto proporzionale. Da questo modello, secondo certi fanatici del maggioritario, per non tradire il referendum di dodici anni fa si potrebbe procedere solo eliminando quel poco di proporzionale rimasto, non tornando «indietro».
Ma un tentativo di andare «avanti» sulla strada del maggioritario è stato già compiuto nella scorsa legislatura con un referendum tendente ad eliminare la quota di proporzionale salvata dalla prova referendaria del 1993: quota alla quale si vorrebbe ancora attribuire la colpa di tutti gli inconvenienti verificatisi nell'applicazione della legge Mattarella. Essi sono la proliferazione dei partiti, i ribaltoni e i ribaltini, un ricorso anticipato alle urne e l'avvicendamento di ben otto governi in undici anni: tre presieduti da Silvio Berlusconi, due da Massimo D'Alema e uno ciascuno da Lamberto Dini, Romano Prodi e Giuliano Amato.
I governi della fase maggioritaria sarebbero stati peraltro ancora più di otto se il secondo di Berlusconi da solo non fosse durato quasi quattro anni grazie all'ostinazione e alla pazienza di Giobbe del presidente del Consiglio. Dal quale prima Gianfranco Fini, poi Marco Follini, poi entrambi hanno preteso verifiche, rimpasti e infine una vera e propria crisi, secondo i vecchi riti della cosiddetta Prima Repubblica. Non sono pochi neppure i circa venti partiti che affollano con le loro sigle e siglette il Parlamento e trasformano spesso in pollai gli schieramenti ai quali appartengono.
Chiamato con un altro referendum nella scorsa legislatura ad attribuire alla quota residua di proporzionale la colpa degli inconvenienti incontrati sulla strada del maggioritario, l’elettorato non ha risposto con la mobilitazione del 1993. Esso ha anzi mostrato un certo ripensamento rispetto alla scelta precedente ed ha affondato il referendum del passo «avanti» facendogli mancare il cosiddetto quorum: segno che non ha visto nel proporzionale la causa dei guasti del sistema. Coerentemente con questa evoluzione referendaria, la maggioranza cerca ora di mettere al servizio del bipolarismo e della governabilità una forma nuova, aggiornata di proporzionale. Presentare questo come un «tradimento», un’«infamia», una «truffa», un «colpo di mano» e quant'altro, come fa l'opposizione ricorrendo pure alla piazza, è semplicemente un imbroglio. È una scommessa sulla disinformazione, che i post-comunisti e i loro alleati hanno ereditato in pieno dai comunisti. I quali nel 1953 definirono «truffa» nelle piazze anche il premio di maggioranza proposto da Alcide De Gasperi. Il quale voleva peraltro applicarlo solo in caso di superamento della metà più uno dei voti da parte dello schieramento destinato a beneficiarne,in modo da consolidare in Parlamento un vantaggio già concesso dagli elettori.

Con questi precedenti di piazze truffate certa sinistra di pretesa tradizione riformista dovrebbe oggi solo chiedere scusa dei bastoni frapposti alla governabilità.

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