(...) di Calata Bettolo, durata: 6 anni, almeno, prima di avere a disposizione il quarto terminal contenitori del porto di Genova. Poi qualcuno si è ricordato della promessa del presidente del Consiglio Romano Prodi - «LItalia vi stupirà» - e, soprattutto, si è accorto che il Consiglio di Stato aveva appena decretato la sospensione della consegna dei lavori sulla Calata, a suo tempo aggiudicati alla ditta Siit e successivamente contestati. A quel punto, è arrivato il dietro front: niente posa della prima pietra e nemmeno benedizione, lo spumante sarà per unaltra volta, via libera solo a un incontro informale a Palazzo Tursi - senza Bertone e Burlando, ma con il quasi prossimo sindaco Mario Margini - fra De Piccoli e gli operatori marittimo portuali. I lavori in banchina? Non cè fretta, hanno aspettato tanto, possono aspettare ancora. A Genova, del resto, da qualche tempo si fa così: un convegno, una tavola rotonda, un tavolo di lavoro, e una tavolata a tarallucci e vino. Poi ne parliamo. Il porto può attendere, che diamine. E chissenefrega se, come dice il presidente degli industriali Marco Bisagno, Civitavecchia si espande e offre spazio alle grandi compagnie armatoriali che vorrebbero scalare Genova, ma si accorgono che sotto la Lanterna la preoccupazione principale è assicurare la spiaggia e i palmizi dorigine egiziana ai bagnanti di Voltri. E chissenefrega se Algesiras, Barcellona o Marsiglia si prendono già le avanguardie delle merci (e dei relativi guadagni) provenienti dallEstremo Oriente. Intanto il Terzo Valico torna in discussione, e le gronde di levante e di ponente e il nodo autostradale di Genova rimangono ben chiusi nei cassetti degli studi darchitettura. Basta e avanza, a quanto pare, dissertare sullesegesi dellAffresco di Renzo Piano che, essendo traguardato per i prossimi cinquantanni, può essere fatto e disfatto a piacimento senza scontentare nessuno, nemmeno lincolpevole progettista. Che viene coperto di osanna e regolarmente disatteso.
È questo il quadro, ieri mattina, quando quel birichino di De Piccoli (anche per «colpa» del suo consigliere tecnico Franco Pronzato) si mette in testa di uscire dalle convenzioni e dire qualcosa né di destra, né di sinistra, ma «di portuale». Ce nè per tutti, anche per quelli che sono assenti ingiustificati. Del tipo: «Attenti ai progetti affascinanti, che però non si misurano col presente». Ovvero: «Mettiamo mano alla riforma della legge 84 sulla riforma dei porti, diamo unidentità precisa alle Authority in quanto enti pubblici economici con funzione regolatrice, senza sbilanciamenti sul versante dellinteresse». E anche: «I terminalisti sono figure fondamentali, da rafforzare, ma devessere considerato prevalente linteresse pubblico». Fino a riconoscere: «Il porto di Genova ha una centralità unica. Bisogna capire che la ricchezza di uno scalo è trattare una molteplicità di traffici», con tanti saluti a Gioia Tauro e fischi alle orecchie del suo recentissimo «sponsor», il ministro calabrese dei Comunisti italiani Alessandro Bianchi (quello che dice che «i porti sono lanello debole del sistema, e lunico che funziona, appunto, è Gioia Tauro»). Le bacchettate fioccano, De Piccoli parla unaltra lingua, ma non è prevista la traduzione simultanea. E il viceministro parla a braccio, come se fosse in salotto, non alla solita tribuna di una convention: «Lo sviluppo non si ottiene solo con i soldi pubblici, ma con lintervento dei soggetti privati a livello mondiale. Creiamo le condizioni».
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