ManchesterAddio Italia, ma senza rimpianti. Prima tira fuori l'orgoglio («non mi ha cacciato nessuno»), poi quasi chiede comprensione («non sono un bad boy, un cattivo ragazzo, solo un po' particolare»). Per nulla intimorito, disponibile ma con riserva, Mario Balotelli affronta la sua prima conferenza stampa inglese con maggior piglio del suo debutto in nazionale. Dribbla con noncuranza le domande sulla sua cattiva fama che monopolizza l'interessa della stampa inglese, rifiuta l'etichetta del giovane talento costretto ad emigrare all'estero, e alle polemiche con José Mourinho preferisce i ringraziamenti a Roberto Mancini. A tratti sorridente, si esprime in italiano anche se conosce l'inglese. Una precauzione saggia per evitare superflui misunderstanding.
Nell'angusta sala stampa di Carrington, stipata da 13 telecamere e almeno 50 giornalisti, si presenta con la maglia del Manchester City, e due catenine al collo: una con crocifisso, la seconda con la medaglietta regalo dei suoi genitori. L'incisione è una promessa a se stesso: professionalità, impegno, umiltà. «Non sono un cattivo ragazzo, ma particolare, né cattivo né troppo buono. Voglio maturare. Di errori se ne fanno nella vita ma io non sono ancora vecchio».
Vent'anni appena compiuti e una carriera da predestinato. Che lo ha portato a debuttare in Serie A a 17 anni (con Mancini), e firmare un quinquennale del valore di 17,5 milioni di euro solo tre anni più tardi. «Dopo Inter-Barcellona ho capito che era arrivato il momento di cambiare. C'era troppa attenzione attorno a me. Era sempre più difficile vivere a Milano così ho chiesto di andare via. Con quasi tutti i compagni il rapporto è stato buono fino alla fine, i principali problemi arrivavano dall'esterno». E qui è il suo mentore Mancini ad offrirgli il miglior assist. «Non si vince la Premier con 20 angeli. Tutti a 20 anni sono un po' bad boys, ma poi si cambia e dagli errori si impara. Credo che l'esperienza all'estero lo farà crescere come giocatore e come uomo. Con lui non ho mai avuto problemi». E l'interessato conferma: «Mancini è stato fondamentale per la mia scelta. Senza di lui non sarei qui, mi ha lanciato e dato fiducia. Ora tocca a me ricambiare».
Liquidato Mourinho che lo aveva definito «ingestibile» («Non è il mio allenatore e non parlo di lui»), SuperMario confessa di non nutrire nostalgie per il calcio italiano. «Mi dispiace aver lasciato l'Italia, ma solo per la mia famiglia e i miei amici. Ho scelto io di venire qui. Diverse squadre mi volevano, in Italia e all'estero. Ma non sono stato costretto ad andare via. Anche se è vero che in Italia per i giovani è più difficile trovare spazio nelle squadre di prima fascia». Anche all'Inter, nonostante fino all'ultimo Massimo Moratti abbia cercato di trattenerlo. «Non mi sento in colpa con Moratti, è stato un gran presidente e ho sempre avuto con lui un rapporto buonissimo. Mi piacerebbe offrirgli una cena se lo incontrassi».
Non capiterà presto, perché i prossimi giorni saranno alquanto frenetici. Sbrigate le ultime pratiche burocratiche, il debutto potrebbe avvenire già domani sera contro i rumeni del Timisoara, preliminare di Europa League. Mancini lo ha già incluso nella lista Uefa ma potrebbe anche rimandare l'esordio a lunedì sera, quando il City ospiterà il Liverpool. «Mario è uno dei migliori giovani al mondo con ancora ampi margini di miglioramento - l'investitura del Mancio -.
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