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Siria, assalto alle ambasciate Furia contro Usa e Francia

I francesi di guardia all'ambasciata a Damasco hanno dovuto sparare in aria per disperdere la folla che aveva già ferito tre dei loro. Altri centinaia di facinorosi hanno preso d'assalto la sede diplomatica americana issando sul tetto una bandiera siriana e poi si sono scatenati contro la residenza dell'ambasciatore Usa. Da due giorni i filo governativi protestavano nella capitale siriana contro «le ingerenze occidentali», ma ieri è scattato il via libera alla violenza. La polizia ha reagito blandamente ed in ritardo.
Circa 300 manifestanti hanno preso d'assalto l'ambasciata francese a Damasco, dove si sono svolte le scene più drammatiche. Tre membri della legazione sono stati feriti dalla prima ondata. A questo punto il personale di sicurezza dell'ambasciata ha cominciato a sparare in aria per evitare il peggio. La folla si è dispersa, ma quasi in contemporanea scattava un assalto simile all'ambasciata americana. Secondo alcuni testimoni i manifestanti sono andati avanti per mezz’ora distruggendo le vetrate dell’ingresso. Parte della scritta United States of America è stata divelta ed i filo governativi si sono appollaiati sul muro di cinta. Uno di loro sarebbe riuscito a issare una bandiera siriana sull’edificio diplomatico facendola sventolare in segno di vittoria.
L'operazione sembrava coordinata perchè poco dopo altri sostenitori del presidente Assad hanno assaltato la residenza dell'ambasciatore Usa, Robert Ford, a pochi isolati di distanza dalla sede diplomatica. Anche in questo caso non sono penetrati nell'edificio, ma hanno provocato danni e scritto slogan sui muri bollando Ford come un «cane». Il Dipartimento di stato americano ha convocato l'ambasciatore siriano a Washington condannando «con forza il rifiuto del governo di Damasco di proteggere la nostra ambasciata». E in serata le dure parole di Hillary Clinton, segretario di Stato americano: «Il presidente Bashar al-Assad ha perso la sua legittimità... non è indispensabile», ha dichiarato, aggiungendo di sperare in una «trasformazione democratica» del Paese».
La reazione siriana era nell’aria. Domenica il governo di Damasco aveva pesantemente accusato l’ambasciatore americano e quello francese, Ford e Eric Chevallier, di «ingerenza flagrante nelle questioni interne». I due diplomatici erano colpevoli di essersi recati tre giorni prima ad Hama, la città simbolo della rivolta siriana, «senza autorizzazione». Secondo il comunicato «la loro visita dimostra che c'è un sostegno dall'estero per la destabilizzazione del paese, proprio nel momento in cui si apre un dialogo nazionale che ha come obiettivo quello di costruire l'avvenire della Siria». Domenica il governo aveva inaugurato nella capitale l'incontro per la riconciliazione nazionale sperando di calmare gli animi. In realtà le principali forze di opposizione hanno disertato la riunione di Damasco. Ad Hama, invece, migliaia di persone sono scese in piazza contro il regime nell'ennesimo venerdì di protesta. Gli ambasciatori americano e francese avevano lasciato la città da poche ore. Hama è la città dove nel 1982 scoppiò la prima rivolta dei Fratelli musulmani in Siria. Hafez al Assad, il padre dell'attuale presidente, la soffocò nel sangue bombardando la città e provocando 20mila morti.
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