In Siria tornano i carri armati: 400 bimbi morti

Allarme dell'Unicef. Italia, Francia, Regno unito, Olanda e Belgio richiamano gli ambasciatori

In Siria tornano i carri armati: 400 bimbi morti

L’Unicef lancia un allarme agghiacciante: 11 mesi di violenze in Siria sarebbero costati la vita a 400 bambini. Altrettanti sono stati imprigionati e torturati, anche se non esistono prove tangibili delle gravi denunce dell’Onu. L’unica certezza è che la crisi si sta trasformando sempre più in guerra civile con l’artiglieria che ieri bombardava il quartiere di Homs in mano ai ribelli bollati dal regime come «terroristi».

«Alla fine di gennaio, erano morti 400 bambini e più di altrettanti sono stati arrestati» ha denunciato ieri la portavoce dell’Unicef, Marixie Mercado. «Arrivano notizie di bambini che vengono arbitrariamente arrestati, torturati e abusati sessualmente mentre sono nelle carceri», ha aggiunto l’agenzia delle Nazioni Unite in un pesante comunicato. In realtà l’Unicef fa riferimento ai dati delle organizzazioni dei diritti umani siriane, definite «attendibili», anche se in gran parte contrarie al regime. Secondo il Fondo per l’infanzia «dicembre è stato il mese più violento per i bambini» siriani. Lo stesso direttore esecutivo di Unicef, Anthony Lake, ha rincarato la dose: «Anche un solo bimbo ucciso nelle violenze è troppo. Esortiamo le autorità siriane a consentire gli aiuti a coloro che ne hanno bisogno».

Non a caso la denuncia della costola dell’Onu per l'infanzia è arrivata il giorno in cui il ministro degli Esteri russo, Lavrov, arrivava a Damasco. Al suo fianco c’era il capo dell’intelligence di Mosca per l’estero (Svr), Mikhail Fradkov. Secondo Lavrov il presidente siriano Bashar al Assad annuncerà «prossimamente» la data del referendum sulle riforme costituzionali, che dovrebbero cancellare il ruolo di partito unico del Baath al potere in Siria. L’amico russo ha assicurato che il presidente siriano vuole una fine delle violenze, la ripresa della missione di pace degli osservatori arabi e sarebbe pronto al dialogo con qualsiasi forza politica.

La risposta delle diplomazia occidentale non si è fatta attendere. Italia, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Spagna e Olanda hanno richiamato i loro ambasciatori in patria per consultazioni o definitivamente. Berlino ha lasciato vacante la sede di Damasco. L’ambasciata Usa è stata definitivamente chiusa ieri. Sulla stessa linea i 6 paesi arabi del Golfo Persico che hanno richiamato i loro rappresentanti ed espulso gli ambasciatori siriani. Uno schiaffo diplomatico per il regime, anche se a Damasco rimane l’inviato dell’Unione europea.

Ieri il quotidiano inglese Times ha reso noto un messaggio spedito via posta elettronica da Asma Assad, la moglie del presidente, nata e vissuta in Inghilterra. La consorte scrive in terza persona appoggiando il marito che è «il presidente della Siria e non di una fazione». Nello stesso tempo apre al dialogo con l’opposizione. La famiglia della first lady è originaria di Homs, roccaforte della rivolta, dove si combatte aspramente da giorni. All’alba di ieri l’artiglieria martellava il quartiere di Bab Amro in mano agli oppositori e ai disertori dell’Esercito libero siriano. I media ufficiali accusano i ribelli «di aver compiuto crimini orribili». Il ministero dell’Interno li bolla come «terroristi» e garantisce che le operazioni proseguiranno fino a quando non sarà ristabilito l’ordine in tutta la città. I morti negli ultimi due giorni sarebbero 110 e ad Homs sono ricomparsi i carri armati. Filmati amatoriali mostrano scene strazianti di un pronto soccorso artigianale, che sarebbe stato colpito con cadaveri a terra e feriti insanguinati.

Dopo Homs potrebbe toccare a Daara, altra città ribelle vicino alla Giordania. Ieri si stringeva il cerchio anche attorno a Zabadani, una località di villeggiatura montana, a ridosso del Libano, dichiarata «territorio libero».

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